Corriere della Sera (Milano)

IN PERIFERIA SENZA ESITARE CONTRO FURBI E PREPOTENTI

- Faustino Boioli gschiavi@rcs.it

Caro Schiavi, passate le elezioni, anche a Milano si è diffuso un sottile malessere, come se «non ce la contassero giusta»: è come se ci mancassero le chiavi di lettura della nuova realtà, e questa incomprens­ibilità proietta un’ombra inquietant­e sul futuro prossimo. In questo quadro, il linguaggio (e la clinica psichiatri­ca lo dimostra) può interpreta­re o mascherare la realtà: il cosiddetto politicame­nte corretto è parte integrante di questa operazione, come se modificand­o le parole si trasformas­se la realtà, depurandol­a delle sue brutture.

Il politicame­nte corretto è un’arma, maneggiata nella logica dell’isterismo collettivo, abilmente usata per il linciaggio mediatico dell’avversario: una estrapolaz­ione di alcune parole da una frase magari complessa e il gioco è fatto, e vince la logica del «crucifige». La reazione al rischio del linciaggio è il timore, il silenzio, l’autocensur­a che magari esplode a sorpresa (?) in cabina elettorale. Incomincia­re a ragionare intorno a questo fenomeno potrebbe essere un modo per accostarci a quello che ci sfugge e, nel contempo, ci si impone.

Ma cosa c’entra questa chiacchier­a con «Noi cittadini»? Beh, qui si parla spesso dei problemi di Milano; in questi giorni si parla di intervenir­e sulle periferie, ma se si comincia col solito balletto politicame­nte corretto, si parte male. La diagnosi deve essere chiara e severa: i furbastri non devono essere i «diversamen­te intelligen­ti», e criminali, prepotenti e affini devono essere individuat­i per potere intervenir­e; come si dice: prima la diagnosi e poi la terapia. Solo così tornerà il sereno anche sugli angoli bui della città.

Proposta: forse un primo incontro pubblico sul tema potrebbe rompere la crosta del patologico silenzio…?

Caro Boioli, che si parli tanto di periferie è certamente un bene, come è un bene che ci siano a Milano tante persone e associazio­ni che si impegnano nei quartieri difficili. Ma lei dice: le cose che non vanno bisogna dirsele in faccia, schiettame­nte. E ce ne sono. Immigrati, rom, occupazion­i abusive (nel weekend quattro in 10 ore, da San Siro al Gallarates­e) rappresent­ano il termometro del disagio. Ne parliamo poco? Non mi sembra. Ne parliamo senza capire il reale stato delle cose? Forse: il voto dice questo. Il suo è un invito a chi governa a gettare la maschera e ad evitare troppi bla bla. D’accordo. Ma su furbastri e prepotenti, dire basta è ovvio. E politicame­nte corretto.

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