IN PERIFERIA SENZA ESITARE CONTRO FURBI E PREPOTENTI
Caro Schiavi, passate le elezioni, anche a Milano si è diffuso un sottile malessere, come se «non ce la contassero giusta»: è come se ci mancassero le chiavi di lettura della nuova realtà, e questa incomprensibilità proietta un’ombra inquietante sul futuro prossimo. In questo quadro, il linguaggio (e la clinica psichiatrica lo dimostra) può interpretare o mascherare la realtà: il cosiddetto politicamente corretto è parte integrante di questa operazione, come se modificando le parole si trasformasse la realtà, depurandola delle sue brutture.
Il politicamente corretto è un’arma, maneggiata nella logica dell’isterismo collettivo, abilmente usata per il linciaggio mediatico dell’avversario: una estrapolazione di alcune parole da una frase magari complessa e il gioco è fatto, e vince la logica del «crucifige». La reazione al rischio del linciaggio è il timore, il silenzio, l’autocensura che magari esplode a sorpresa (?) in cabina elettorale. Incominciare a ragionare intorno a questo fenomeno potrebbe essere un modo per accostarci a quello che ci sfugge e, nel contempo, ci si impone.
Ma cosa c’entra questa chiacchiera con «Noi cittadini»? Beh, qui si parla spesso dei problemi di Milano; in questi giorni si parla di intervenire sulle periferie, ma se si comincia col solito balletto politicamente corretto, si parte male. La diagnosi deve essere chiara e severa: i furbastri non devono essere i «diversamente intelligenti», e criminali, prepotenti e affini devono essere individuati per potere intervenire; come si dice: prima la diagnosi e poi la terapia. Solo così tornerà il sereno anche sugli angoli bui della città.
Proposta: forse un primo incontro pubblico sul tema potrebbe rompere la crosta del patologico silenzio…?
Caro Boioli, che si parli tanto di periferie è certamente un bene, come è un bene che ci siano a Milano tante persone e associazioni che si impegnano nei quartieri difficili. Ma lei dice: le cose che non vanno bisogna dirsele in faccia, schiettamente. E ce ne sono. Immigrati, rom, occupazioni abusive (nel weekend quattro in 10 ore, da San Siro al Gallaratese) rappresentano il termometro del disagio. Ne parliamo poco? Non mi sembra. Ne parliamo senza capire il reale stato delle cose? Forse: il voto dice questo. Il suo è un invito a chi governa a gettare la maschera e ad evitare troppi bla bla. D’accordo. Ma su furbastri e prepotenti, dire basta è ovvio. E politicamente corretto.