Inerzia dei cantieri
LA SCUOLA DIMOSTRA UN SECOLO
Il 70% degli edifici scolastici ha più di 50 anni. Ma l’età vuole dire poco: è che i 50 anni corrispondono, sul piano del merito edilizio e, soprattutto, della logistica pedagogica (distribuzione e fine degli spazi), almeno al doppio. Come se la scuola del 2018 non dovesse essere molto diversa da quella del 1918. È vero: Milano non è l’Italia. Ma l’Italia, se ragioniamo per medie, è peggio di Milano. Lo stato qualitativo e quantitativo della nostra edilizia scolastica è pessimo. Di campus scolastici non si parla: tutti gli studenti ogni giorno nelle stesse strutture (quando ci sono). Come i collegi (se non i cenobi o le prigioni) di un tempo. La distribuzione sui territori e sulle attività imprenditoriali delle attività di istruzione ed educazione non esiste. Quando va bene si parla di palestre aperte al territorio in orario extrascolastico (e già l’espressione è un programma). Ma pensiamo davvero di vincere le sfide che ci attendono con queste inerzie? C’è una cosa che fa impressione. Tra tante grandi opere sulle quali si puntano miliardi e miliardi di euro manca la «grande opera» più decisiva di tutte. Quella del ridisegno, in un quindicennio ad esempio, del modo di praticare la scuola e, quindi, la sua edilizia. Nella competizione elettorale del 4 marzo scorso nessun partito si è fatto carico di questa urgenza. Si preferiscono bandi di manutenzione o al massimo di razionalizzazione dell’esistente. Ne parleranno i candidati sindaci di Milano della prossima tornata amministrativa? Sarebbe un esempio per il Paese.