Il doping contro la fobia sociale: assolto
Con gli anabolizzanti curava il look e vinceva i suoi complessi, il giudice gli dà ragione
Igiudici hanno assolto «perché il fatto non sussiste» un culturista ventottenne a cui erano state sequestrate quantità di sostanze anabolizzanti tali da costituire reato. I difensori hanno spiegato che l’uomo grazie al doping affrontava una fobia sociale. «Migliorando il suo look affrontava e riusciva a superare i suoi complessi». Una tesi accolta dal tribunale, che ha dunque assolto l’uomo.
Una montagna di sostanze dopanti e in quantità tali da costituire un reato punito con pene da 3 mesi a 3 anni. Per chiunque. Ma non per lui, 27enne pugliese che il Tribunale assolve «perché il fatto non costituisce reato», nella convinzione che «l’assunzione di quelle sostanze non si proiettasse esternamente in direzione di gare o di competizioni sportive» (nè sua nè di altre persone), ma «rappresentasse per l’imputato il veicolo principe attraverso il quale» contrastare una propria patologia di «fobia sociale» e «aumentare la propria autostima personale».
Frutto di un lavoro dei carabinieri del Nas a partire dal sequestro di un pacco postale a Linate, il ritrovamento nel 2016 a casa del giovane di un autentico «arsenale» chimico è incontestabile. Ciò che invece i difensori Guido Camera e Paolo Mendicino riescono a far emergere è una particolare patologia che il consulente tecnico definisce «forte fobia sociale con diverse ansie prestazionali», contro la quale il giovane ingurgitava pasticche pseudo-performanti di ogni genere «per affrontare qualsiasi situazione sociale, anche la più banale come prendere il caffè sotto casa, uscire con gli amici, intrattenere rapporti personali, al precipuo scopo di sentirsi “all’altezza”». Per «aumentare la propria autostima», cioè, il giovane avrebbe «trovato il sistema di investire sull’aspetto estetico, aumentando la massa muscolare tramite l’assunzione incontrollata» di sostanze di varia natura che aveva fatto preoccupare anche il padre (al punto da avviare il figlio un percorso psicoterapeutico): assunzione di sostanze dopanti già dall’età di 16 anni; allenamento fisico esasperato ma solo entro le mura di casa dove aveva allestito una piccola palestra (paradossalmente non essendo interessato ad alcuna attività sportiva o prestazione agonistica); e «maniacale dedizione alla disciplina del bodybuilding attraverso un ciclo di definizione del proprio corpo che, con l’assunzione smodata di integratori alimentari», comprati in maniera spericolata su Internet, «lo aveva portato a ottenere un aumento di addirittura di 40 chili» in appena 4 mesi «da settembre a dicembre 2015.
La giudice Ombretta Malatesta conclude che è pacifico l’elemento oggettivo del reato, che punisce chiunque assuma, somministri o procuri ad altri l’utilizzo di sostanze attive al fine di alterare le prestazioni agonistiche.
Ma assolve l’imputato perché valuta che a difettare sia invece l’elemento soggettivo del reato, cioè lo scopo di assumerle in chiave dopante sportiva o (peggio) di spacciarle a terzi.
La giudice rileva infatti come anche i tabulati telefonici escludano contatti illeciti con l’esterno, e confermino invece il quadro istruttorio di «un soggetto isolato, timido, privo di competenze relazionali e sociali», che «vive in una dimensione nella quale l’aumento della propria autostima coincideva con il miglioramento del proprio aspetto estetico, inteso quale aumento della massa muscolare: il bisogno vitale era diventato quello di sentirsi sicuro e adatto in tutte le situazioni sociali (come ordinare un caffè, fare la spesa, avere un rapporto sessuale) attraverso il proprio aspetto».