«Provinciali e sciovinisti I professori contro l’inglese sono baroni senza futuro»
L’architetto Lissoni attacca la sentenza: autolesionismo grottesco
Scelta «tafazziana», «autolesionista», «suicida». O, ancora, «provinciale», «sciovinista». Addirittura «revanscista». Il campionario di vocaboli scelto dall’architetto e designer Piero Lissoni per commentare lo stop ai 27 corsi in sola lingua inglese del Politecnico, precisa lui, «è all’insegna della diplomazia». «Perché come si possono definire, senza eccedere con il linguaggio, quei cento professori (126, ndr) che hanno portato le loro istanze conservative a una sentenza del Consiglio di Stato da “parrucconi”?» si chiede da membro dell’advisory board del Politecnico che, assieme agli altri, ieri, ha firmato un appello sulle pagine del Corriere. Pardon... “parrucconi”? «Sì, “parrucconi”! Intendo questi professori: un modello quasi antropologico dell’intellettuale antico e provinciale, incapace di aggiornarsi e mettersi al passo con i tempi e che inoltre si segnala al mondo come tale, firmando ricorsi al Tar e lettere a Mattarella. È buffo che una minoranza (stimata nel dieci per cento del corpo docenti dal rettore Ferruccio Resta, ndr) sia riuscita a mettere in silenzio una maggioranza così importante all’interno dell’università».
A che cosa puntano gli irriducibili anti-inglese?
«A una baronia allo stato puro, a una rendita di posizione, a una difesa di un passato che non trova riscontro non solo nel futuro ma neppure nel presente. Senza lungimiranza né orizzonti. Con altre persone e altri approcci si sarebbe potuta intavolare una discussione diversa invece stiamo parlando di individui di poca virtù professionale, che non hanno alcuna intenzione di guardare avanti» Nessuna concessione alle loro istanze di difesa del diritto allo studio in italiano? «Ma figuriamoci. Non si perderebbe niente della qualità e dell’identità della cultura italiana. Eccellenza è anche parlare linguaggi internazionali. Ricordo ai figuri in questione che se l’italiano si è ridotto a poverissima lingua non è certo per colpa dell’inglese quanto piuttosto di chi (e come) lo ha insegnato...».
La sentenza indica il problema nell’uso esclusivo dell’inglese, non nel suo affiancamento all’italiano...
«Certo, ma non tutti gli studenti possono impararlo prima di venire qui. Mica si parla di corsi di Letteratura o Semantica... Sono facoltà tecniche e tecnologiche con studenti sempre più sofisticati. E a cosa serve l’italiano in corsi di robotica, ingegneria, architettura i cui sistemi operativi sono tutti in inglese? Che piaccia o meno, oggi la lingua franca per il mondo è l’inglese, come una volta il latino o il francese per i diplomatici. Fermare l’inglese per salvaguardare l’italiano sarebbe come svuotare il mare con un cucchiaino. Qui nessuno vuole dimenticare la bellezza e il valore dell’italiano».
Il Politecnico peraltro è uno dei pochi atenei nazionali riconosciuti all’estero...
«Noi lavoriamo in giro per il mondo, gli studenti lo faranno in futuro. Chiunque abbia sentito di questa storia molto italiana, così ridicola da scadere quasi nel grottesco, è rimasto scioccato da idee tanto scioviniste e revansciste. Bisogna imparare a guardare oltre i patri confini altrimenti non si uscirà mai dalla Brianza. È un peccato perché Politecnico e Bocconi riescono ad attrarre studenti non solo dai paesi in via di sviluppo ma anche da quelli avanzati. Dare questo messaggio è una scelta di retroguardia assoluta. E perché? Per salvaguardare la rigidità intellettuale e la scarsa professionalità di questi signori? No, grazie».
E adesso cosa succederà? «Bè, non possiamo lasciare gli studenti in balia dell’italiano maccheronico di tali figuri, ergo andremo avanti con gli iscritti 2017/18 fino alle lauree magistrali, poi si vedrà, confidando nello sdegno generale per questa sentenza».
Figuraccia Proprio ora che abbiamo alunni da tutto il mondo...