Com’è moderna Francesca da Rimini
Luisi: «Un’opera sulla femminilità violata»
«Sì, Dante li manda all’Inferno per dovere morale ma dedica a Paolo e Francesca uno dei canti più intensi della Commedia. Tanto che lui stesso alla fine sviene per l’emozione», ricorda il maestro Fabio Luisi, in questi giorni alla Scala per «Francesca da Rimini» di Zandonai, debutto il 15 aprile nel nuovo allestimento di David Putney, protagonista Maria José Siri. «Un’opera ingiustamente messa in disparte. Alla Scala manca da 40 anni ed è un peccato, perché musicalmente e drammaturgicamente è costruita benissimo, con grande virtuosismo strumentale: violento, trasparente, raffinatissimo, in sintonia con l’estetismo estenuato della tragedia di D’Annunzio da cui Tito Ricordi trasse il libretto». Un copyright che l’editore milanese pagò salatissimo, 25 mila lire d’oro al Vate, mentre Zandonai dovette accontentarsi solo di 3.000. Ma D’Annunzio era la star di quegli anfamiglia ni... L’opera è del 1914, vigilia dell’entrata in guerra dell’Italia e dei futuri eroici furori dannunziani. Citati in scena dal «Volo su Vienna» e da un armamentario bellico nascosto da un cilindro rotante che aprendosi svelerà uno spazio marmoreo con al centro un’enorme busto femminile dai candidi seni nudi. Un universo femminile sensuale e sognante opposto a una realtà maschile sanguinaria e brutale. «Questa è una storia di femminilità violata — riprende Luisi —. Francesca viene ingannata sull’identità del marito, pensa di sposare il bel Paolo e si ritrova a letto il fratello sciancato Gianciotto. E come non bastasse viene insidiata anche dall’altro cognato, l’assatanato Malatestino, orbo di un occhio». Una violenza domestica come troppe ancora oggi, a cui Francesca e Paolo trovano rifugio nel loro amore. «Che è un tradimento ma anche una ribellione all’amoralità di una e una società», conclude Luisi, domani alla Scala anche sul podio della Filarmonica. «Eseguiremo il Pelléas und Mélisande di Schoenberg, la Passacaglia di Webern e alcuni lieder di Schubert orchestrati da grandi compositori e interpretati da Luca Pisaroni».
E dopo l’opera di Zandonai, Luisi sarà a Firenze per la nuova edizione del Maggio di cui è direttore musicale. Titolo d’apertura, «Cardillac» di Hindemith, capolavoro del ‘900 storico, diretto da lui, regia di Valerio Binasco. «Accetto di lavorare solo con i registi con cui mi sento in sintonia. Ho detto molti no, anche importanti. Per esempio al Festival di Bayreuth. Mi avevano proposto un Lohengrin dove il regista popolava la scena di topi. Non ce l’avrei potuta fare...».
Per molti anni di casa al Met, lo scandalo Levine non l’ha colto di sorpresa. «Dal punto di vista artistico è stato un grande direttore, ma fino a qualche anno fa si usava nascondere la spazzatura sotto il tappeto. È salutare che sia cominciato a fare pulizia». E il futuro dell’opera in Italia? «Da parte dei politici attuali mi pare di non cogliere alcuna sensibilità... E poi vorrei ricordare una cifra: in Italia ci sono 470 teatri chiusi e abbandonati. Uno sfregio alla cultura».