Il poliziotto lancia la startup anti rapine
Il papà del rivoluzionario programma KeyCrime svolta e diventa imprenditore
Ha passato 14 anni negli uffici della Questura. Ma soprattutto è l’inventore di KeyCrime, il più avanzato esperimento europeo di fusione tra informatica e investigazione. Ora, l’assistente capo Mario Venturi lascia la polizia. Da oggi sarà soltanto l’amministratore delegato della società che sta sviluppando il software usato per abbattere il numero di rapine in farmacie, banche e negozi.
Da oggi non passerà più al primo piano di via Fatebenefratelli, marmo e vetri e neon, il corridoio dove i poliziotti delle Volanti scrivono le annotazioni, altri gestiscono i «reperti», qualcuno fuma ancora in un paio di stanze. Ambientazione da vecchia polizia, ma sulla prima porta di quel corridoio si legge «Ufficio analisi e pianificazione», ampio spazio occupato da computer, decine di monitor, server grossi come armadi. Là dentro, per 14 anni, ha lavorato l’assistente capo Mario Venturi, «testa da sbirro» applicata al più avanzato esperimento europeo di fusione tra informatica e investigazione. Si chiama KeyCrime, Venturi l’ha inventato e sviluppato, la questura di Milano l’ha usato per abbattere il numero di rapine in farmacie, banche e negozi. Silenziosa eccellenza milanese. «Lasciando la Polizia lascio una famiglia», ha scritto ieri il poliziotto su Facebook. Perché da oggi sarà soltanto l’amministratore delegato della società che sta sviluppando il KeyCrime e lo metterà sul mercato.
Intorno a quel sistema negli ultimi anni s’è concentrato l’interesse di università inglesi e americane; per vederlo «girare» sono arrivati i grandi media internazionali, Bloomberg, Hbo, Vice; e s’è presentato infine un fondo di investimenti pronto a mettere i capitali per costruire un’impresa intorno al suo sviluppo. KeyCrime è di proprietà di chi l’ha inventato, la questura di Milano l’ha avuto sempre in «comodato d’uso», e «così continuerà a essere — spiega Venturi — anche con l’aggiornamento e le nuove versioni. Perché la questura è la mia famiglia».
L’idea del KeyCrime risale a 14 anni fa e ruota intorno al concetto di serialità criminale. Ogni rapina ha un suo Dna, una sorta di codice a barre che la identifica; intorno a ogni assalto in farmacia (ma poi anche in banche o negozi) è possibile raccogliere una mole sterminata di dati, dai semplici ora-luogo-arma-abiti del rapinatore, fino ai più complessi e sottili elementi sul «come» viene commesso un reato. La capacità di calcolo del sistema può elaborare fino a 11 mila variabili per ogni reato, e dunque creare delle serialità, dando vera sostanza al concetto di predictive policing (previsione di dove accadranno i futuri reati). Finora non è stato fatto, ma avrebbe grande efficacia anche per i furti e, soprattutto, per le aggressioni sessuali.
Tutti gli altri strumenti del genere, nel mondo, lavorano su una filosofia statistica: in una certa zona vengono commessi più reati, dunque è lì che bisogna concentrare le forze di polizia. La rivoluzione del KeyCrime è stata invece quella di mantenere un approccio analitico investigativo. Il passo del futuro sarà il machine learning: se oggi il sistema sfrutta una capacità di calcolo mostruosa, ma l’impostazione iniziale è statica, la versione pronta tra qualche mese sarà dinamica, in grado di imparare dall’esperienza, di auto-raffinarsi; una flessibilità che lo renderà adattabile per qualunque polizia, in qualsiasi parte del mondo.
Efficace
Il sistema elaborato 14 anni fa ha suscitato l’interesse di università inglesi e americane