Il genio di Eduardo e i suoi fantasmi
Allo Strehler in scena il testo di De Filippo
Chi non conosce la celebre scena del protagonista, Pasquale Lojacono, che spiega al professor Santanna i trucchi per preparare un buon caffè? Una scena, saccheggiata anche dalla pubblicità, che appartiene a «Questi fantasmi!», commedia scritta da Eduardo De Filippo nel 1945, dopo «Napoli milionaria» e prima di «Filumena Marturano», suo primo successo internazionale, che gli aprì il mercato francese (nel 1955 a Parigi, al Théâtre de la Ville con Sarah Bernhardt) e americano. A riproporla, ospite al Teatro Strehler da martedì, è la Compagnia di Luca De Filippo, oggi diretta da Carolina Rosi, che con questo testo ha ripreso il suo lavoro la scorsa stagione dopo la prematura scomparsa del fondatore, affidandone la regia a Marco Tullio Giordana, per il quale «più che raccogliere un’eredità, si tratta di continuare il lavoro che Luca ha svolto sul repertorio di Eduardo, un lavoro che definirei di precisione filologica e contemporaneamente di continuo aggiornamento».
Perno della commedia, divertente e amara al tempo stesso, è l’ambiguità, quasi una forma di relativismo dal retrogusto pirandelliano. O forse, più bonariamente, il bisogno di credere in qualcosa di irragionevole per salvarsi dalle circostanze non sempre felici della vita reale. Lojacono vive, con la bella e giovane moglie, in un appartamento di diciotto stanze in un sontuoso palazzo partenopeo, che certo non è a portata delle sue tasche. Non paga l’affitto perché si è assunto il compito di sfatare le dicerie sulla presenza di fantasmi nell’edificio, quei «munacielli», amati e temuti, comunque cari alla tradizione napoletana che, infatti, non esitano a manifestarsi. Ma il fantasma in questione, che elargisce a Pasquale regali e denaro per allestire una pensione dentro l’appartamento, è in realtà Al- fredo, l’amante della moglie, con la quale prepara una fuga. Entrambi gli uomini non vogliono porsi troppe domande, per vigliaccheria, per paura di guardare in faccia la realtà e di perdere quel che hanno. Nel caso di Lojacono un elevato tenore di vita con cui, tra l’altro, spera di garantirsi l’amore della moglie. Meglio una confortevole ipocrisia che una disagiata sincerità. Un’ambiguità di comportamento, in bilico tra buonafede e malafede, verità e apparenza, che intrappolerà i protagonisti nella «necessità» di credere ai fantasmi. In scena, fra gli altri, Gianfelice Imparato (Lojacono), Carolina Rosi, e Massimo De Matteo.