Sul palco Enzo Iacchetti da Gaber a Guccini
Il teatro-canzone secondo Enzo Iacchetti
«A sessantacinque anni non si può accettare di fare sempre le stesse commediole o l’ennesimo monologo sul Pd o la Boschi, “Libera Nos Domine” è il segno del mio cambiamento». Enzo Iacchetti, prende le distanze da cabaret e tv, e con entusiasmo presenta il suo nuovo spettacolo sui temi dell’emigrazione, della tecnologia, ma anche dell’amicizia e della religione. Tra un monologo e l’altro, brani musicali dal repertorio meno conosciuto di autori come Enzo Jannacci e Francesco Guccini, il tutto supportato da immagini, proiezioni ed effetti sonori. «È un nuovo esempio di teatro-canzone», dichiara l’attore. «Nessun confronto con Gaber ovviamente, gli ho già chiesto scusa con il mio precedente lavoro, questo è solo il mio modo di proporlo». Uno spettacolo in cui Iacchetti si toglie la soddisfazione di dire tutto ciò che pensa sul nostro tempo. Sul fronte tecnologia, un monore, logo che spara a zero sulle amicizie nell’era dei social, «quelle fatte con il pollice all’insù e messaggini criptati», a commento la canzone «Lettera da lontano» di Jannacci.
Per parlare di emigrazione, ecco un brano apparentemente cinico scritto in collaborazione con Alberto Patrucco, «può sembrare una provocazione, in verità si parla della necessità di accogliere chi cerca aiuto, lo stesso che cercavamo noi qualche tempo fa, qui a sostenermi c’è la canzone “I migranti’ di Guccini, quella che ci hanno bocciato al Festival di Sanremo». E dopo una riflessione sulla vecchiaia con il brano scritto dall’amico scomparso Giorgio Faletti, Iacchetti svela la parte più intima di sé, per farlo una canzone di Gaber «Quando sarò capace di amare». «È un momento poetico, sincero, racconto le mie esperienze e propongo un altro modo di vivere i conflitti e i sentimenti perché l’amore non è nel cuo- ma nell’anima e lì può rimanerci per sempre». Infine con «Libera Nos Domine» la canzone di Guccini, il momento più duro dello spettacolo, quello in cui l’attore tra un fulmine e un’ ipotesi di rivoluzione («lo sciopero di tutte le creature della Terra»), con rabbiosa tenerezza si rivolge al cielo: «Accuso Dio o chi per lui di essere il responsabile di tutte le guerre e le cattiverie del mondo, lo invito a scendere tra noi e risolvere gli errori che ha compiuto a partire dagli uomini troppo idioti, completamente da rifare, per aiutarlo gli suggerisco anche l’app che deve usare nel telefonino». Il finale è una sorpresa, top secret.