«Ipotizzò un tumore a mio figlio Poi mi liquidò»
La testimonianza
«Un’esperienza agghiacciante. Mi ha tenuta dieci giorni con il fiato sospeso per dirmi se mio figlio aveva un tumore. E poi mi ha sbattuta fuori dallo studio». Renata Fontanelli, 51 anni, tra il dicembre del 2014 e il febbraio 2015 si è rivolta a Giorgio Maria Calori, il primario del Pini agli arresti domiciliari. «Sono arrivata a lui — spiega —, perché a mio figlio era stato diagnosticato il morbo di Schlatter». Una malattia tipica dell’adolescenza che comporta alterazioni nello sviluppo delle ossa. «Gli ha prescritto un plantare molto costoso, da 370 euro, fatto da un suo amico». In un’altra visita l’ortopedico formula l’ipotesi di un tumore come causa dei disturbi del ragazzo. «Ha fatto una risonanza magnetica e una radiografia — ricorda la madre — poi i prelievi del sangue per rilevare i marcatori tumorali». Visto il sospetto di cancro, il risultato arriva il giorno successivo. Ma Calori non è altrettanto solerte. Si fa attendere più di una settimana prima di leggere la cartella clinica. «L’ho chiamato più volte, gli ho scritto, alla fine ho ottenuto un appuntamento». L’accoglienza è pessima: «Un’ora in sala d’aspetto, poi mi ha dato della prepotente, mi ha detto che non c’era nessun tumore e ha dichiarato che non dovevo più entrare in studio». Ma non ha rifiutato la parcella di 470 euro. (s. bet.)