Sanità, il buco nero dei controlli
Rapporto Arac denuncia: abbiamo le mani legate. E i medici corrotti trovano la strada spianata
Un’ammissione di impotenza. Poco personale, nessun potere ispettivo, difficoltà d’avvio, scarsa autonomia: «Controllore e controllato non possono essere interdipendenti». L’Anticorruzione fa fatica a funzionare. Tutti i problemi dell’Arac — voluta all’inizio del 2016 dall’allora governatore Roberto Maroni, a ridosso dell’arresto del leghista (e amico) Fabio Rizzi — sono elencati uno ad uno dallo stessa Autorità regionale anticorruzione.
Un’ammissione di impotenza. Poco personale, nessun potere ispettivo, difficoltà d’avvio, scarsa autonomia: «Controllore e controllato non possono essere interdipendenti». L’Anticorruzione di Regione Lombardia fa fatica a funzionare. La prova non arriva (solo) dall’ennesimo scandalo scoppiato nella Sanità, con quattro primari e un direttore sanitario ai domiciliari, nonché un imprenditore in cella da martedì, tutti accusati di corruzione: il malaffare negli ospedale continua, il sistema marcio non riesce a essere sradicato dalla prevenzione. La verità è che tutti i problemi di funzionamento dell’Arac — voluta all’inizio del 2016 dall’allora governatore Roberto Maroni, a ridosso dell’arresto del leghista (e amico) Fabio Rizzi, finito in carcere per tangenti sugli appalti odontoiatrici — sono elencati uno ad uno dalla stessa Autorità regionale anticorruzione nella sua relazione di fine dicembre: «Sono stati necessari tempi lunghi per attivare anche solo parzialmente la struttura organizzativa (...) — si legge nel documento presentato al Pirellone dalla presidente di Arac Adriana Garramone (magistrato in pensione, presidente del Tribunale di Brescia dall’aprile 2012 al dicembre 2015) —. L’operatività è limitata, non disponendo di poteri e strutture per realizzare ispezioni. L’Agenzia ha risentito delle rigidità di regole che non ne considerano la specificità (…)».
L’Autorità regionale anticorruzione (Arac), istituita con la legge regionale del 17 marzo 2016, è l’ultima nata nella Babele di controlli messa in piedi dal Pirellone dopo ogni scandalo. Il 26 ottobre 2015, sulla scia dell’arresto dell’ex assessore alla Sanità Mario Mantovani, Maroni nomina come tecnico della legalità l’ex magistrato Gustavo Adolfo Cioppa (ora indagato per favoreggiamento e abuso d’ufficio nell’inchiesta sulle forniture ospedaliere del Pini e del Galeazzi). Pochi mesi prima (agosto 2015), per segnare la discontinuità con il ventennio formigoniano scandito da inchieste giudiziarie come quella sul San Raffaele e la Maugeri, viene istituita l’Agenzia dei controlli. Nel maggio 2014, dopo l’inchiesta sulla Cupola truccaappalti di Gianstefano Frigerio, avrebbe dovuto decollare il ruolo del Comitato regionale per la trasparenza degli appalti, guidato dal generale della Guardia di finanza Mario Forchetti: ma, come raccontato più volte dal Corriere, così non è stato. Un’infinità di controllori — con oltre un milione di euro spesi ogni anno — che non porta a risultati tangibili.
Adesso, però, per la prima volta tutti i limiti dell’Anticorruzione vengono segnalati con estrema chiarezza dall’Agenzia stessa: «Si tratta di difficoltà in via di superamento», scrive Garramone. Ma c’è un problema alle fondamenta: «Per un intervento efficace — è la sintesi — l’Arac dovrebbe essere considerata come un ente distinto da Regione Lombardia e dotato di risorse che consentano di effettuare verifiche in autonomia». Di qui la proposta: «Per contrastare la corruzione in modo più efficace e rivedere l’attuale sistema dei controlli, si propone di istituire un ufficio controlli con potere ispettivo, composto da esperti di appalti pubblici. Un braccio operativo indipendente e autonomo, svincolato dalla struttura amministrativa pubblica». Il sasso è lanciato, resta da vedere se il neogovernatore Attilio Fontana vorrà raccoglierlo.