Si rompe l’arteria Salvato per miracolo
Il dramma nel bosco della droga
Vivo per miracolo. Grazie alle particolari abilità di un medico del 118 che ha stabilizzato le sue condizioni gravissime e ha permesso il trasporto in ospedale. Un 33enne italiano ha rischiato di morire. Era uno dei tanti tossicodipendenti in coda per ricevere dagli spacciatori la dose giornaliera nel «bosco della droga» di Rogoredo. Erano le 19.30 di mercoledì. Si è iniettato l’eroina nell’inguine e il «buco» ha provocato la rottura di parte dell’arteria femorale. Qualcuno ha chiamato i soccorsi e il 33enne è stato salvato. L’anno scorso ci sono stati sette decessi per overdose.
Si chiama Salvatore D., ha 33 anni ed è nato in provincia di Oristano. L’altro ieri era uno dei tanti tossici in coda nell’eterno «bosco della droga» di Rogoredo. Salvatore D. ha atteso il suo turno. Ha acquistato la dose. Erano le 19.30. Si è iniettato l’eroina nell’inguine. Il «buco» gli ha provocato lo scoppio di parte dell’arteria femorale. Sembrava fosse prossimo alla morte.
Non sarebbe stato il primo, in questa landa di periferia che si vuol continuare a credere sia un fenomeno di natura criminale, dunque demandando ogni tipo d’intervento alle forze dell’ordine e insistendo nel negare, a monte, l’incidenza della devastazione sociale. L’anno scorso i decessi per overdose furono sette. Quest’anno già c’è stata una vittima ma tutti i casi formano un numero parziale che non tiene conto di quanti tossici si allontanino, tornino a casa fuori Milano e fuori Lombardia, e lì muoiano. Salvatore D. non è morto. Grazie a un medico si è salvato ed è stato trasportato al Policlinico in codice giallo. Fosse stato cosciente, non avrebbe scommesso un centesimo lui per primo. È andata bene sia per il pronto intervento dell’ambulanza della «Croce amica di Basiglio» sia per le abilità del dottore che è riuscito a stabilizzare le condizioni del 33enne in maniera tale da garantire il suo accompagnamento al pronto soccorso. Ma è andata bene anche perché qualcuno degli stessi drogati ha mantenuto la lucidità e ha avuto un briciolo di umanità per dar l’allarme. Non sempre capita. Anzi. Spesso qualcuno viene lasciato agonizzare e semmai lo avvicinano per prendergli il portafogli, il cellulare e perfino la siringa che ha in vena. Al «bosco della droga» non si butta niente.
Le insistite operazioni di polizia e carabinieri, anche con l’ausilio della polizia locale, hanno ormai codificato la realtà di Rogoredo. Accertato il «controllo» di una cupola magrebina, un «controllo» divenuto militare con il trascorrere dei mesi; accertata la presenza di «squadre» con diversi incarichi, chi accoglie i tossici, chi li accompagna per i sentieri, chi consegna fisicamente le dosi. Il progressivo, periodico, avanzamento geografico delle forze dell’ordine durante le operazioni — entrare nel «bosco» a sorpresa, senza farsi notare prima è pressoché impossibile — ha sortito l’effetto di spingere più in là i marocchini, che si posizionano a ridosso dei binari dell’alta velocità. I macchinisti dei treni hanno preso l’obbligatoria abitudine di rallentare e suonare, per avvisare del passaggio ed evitare che qualcuno finisca investito.
Giorno o notte non fa più differenza, Natale o Pasqua neanche, figurarsi pioggia battente e gran freddo: il «pellegrinaggio» è incessante. Ci sono ragazzini di quindici, sedici anni, che arrivano dopo la fine della scuola. Ci sono donne che non hanno i soldi per la droga e si vendono pur di pagarsi l’eroina; ci sono altre donne, com’era successo a un’aostana, che spariscono per ore e ore; c’è un’infinità di gente che parte da lontano pur di approdare a Rogoredo, dove si compra a bassissimo prezzo, con le monete: il flusso e gli incassi permettono alla «cupola» di tenere aperta tutto l’anno la stagione dei saldi.
Mercato continuo In molti arrivano da lontano per comprare dosi a basso prezzo e pagano in monetine