Il mercoledì solo in dialetto
L’iniziativa del paese in provincia di Varese: «Riscopriamo la nostra identità»
A Orino, 800 abitanti in provincia di Varese, ogni mercoledì nella biblioteca civica si fa «scuola» di dialetto. L’iniziativa è del sindaco Cesare Moia: «Per un giorno riscopriamo la nostra identità».
VARESE Come ordinati scolari arrivano il mercoledì con carta e penna, in molti hanno i capelli bianchi e nei locali della biblioteca comunale siedono attorno al tavolo per parlare in dialetto. Succede a Orino, paese di 800 abitanti nelle valli del Varesotto dove l’iniziativa voluta dal sindaco Cesare Moia sta riscuotendo un certo successo: «Torniamo a parlare tutti in dialetto per un giorno, riscopriamo le nostre identità». In paese non si incontrano molte persone per strada, le attività sono poche. Così la biblioteca diventa punto di ritrovo, ma con la giornata del dialetto c’è chi arriva anche da fuori.Nell’ultimo incontro in cattedra è salito Giorgio Roncari, barbiere di Cuvio, scrittore di storia locale; inforcati gli occhiali ha preso nota rigorosamente a mano delle storie che saltano fuori da queste chiacchierate, veri e propri cassetti della memoria, come il caso dei vecchi mestieri, vedi il galinatt, il venditore di polli vivi, che alla bisogna venivano uccisi al momento e consegnati al cliente. Tutto raccontato nell’idioma locale che ben si presta a tratteggiare i profili dei personaggi stravaganti che mezzo secolo fa si incontravano da queste parti: Pepin Bucascia, Girunin Milionario, il Lanciabumb. «Non è mai troppo tardi» era una trasmissione televisiva di successo negli anni 60 in cui il maestro Alberto Manzi divenne famosissimo per insegnare il corretto uso della lingua italiana. Anche nella biblioteca di Orino si viene per mantenere viva una tradizione e magari tramandarla ai ragazzi, precoci ad accendere lo smartphone prima ancora di sapere cos’è la cadrega. L’amministrazione comunale caldeggia questi momenti e a fine aprile sarà pronto un spazio della biblioteca solo per testi in dialetto: ce ne sono già più di 200.
«La nostra idea è di creare un Museo dul Dialet dedicato alla lingua e alle tradizioni locali così da coinvolgere anche i giovani con incontri serali, per conversare senza fretta — spiega il sindaco Moia —. Settimana prossima arriveranno il vocabolario dei dialetti della Svizzera italiana, il “repertorio italiano-dialetti” e il lessico dialettale della Svizzera italiana».
Già, la Svizzera. Oltre confine tutti parlano diffusamente in dialetto, tanto che a Bellinzona esiste il Centro di dialettologia e di etnografia che si occupa di documentare, studiare e valorizzare la realtà linguistica ed etnografica della Svizzera italiana.
Il perché lo spiega Gregorio Cerini, di Arcumeggia, noto poeta e scrittore dialettale che ha all’attivo oltre venti pubblicazioni sul tema: «I popoli che parlano il dialetto non hanno perso la sonorità della lingua, fatta di parole, e la parola è musica, ma anche cultura perché segna il contatto con le genti. Nel nostro dialetto ci sono parole che derivano dal celtico, dal tedesco e dal francese. Il ticinese, come il comasco e il varesotto, sono molto simili, un po’ più crudi rispetto al milanese, caratterizzato da pronunce più dolci. Insomma: el milanes l’è püssè slavagià».
Il progetto
A fine mese sarà pronto uno spazio dedicato ai libri nella lingua locale
Tradizione Chi parla l’idioma locale non perde la sonorità della lingua, fatta di parole. La parola è musica ma anche cultura perché segna il contatto con le genti. Nel nostro dialetto ci sono parole che derivano dal celtico e dal tedesco