«Dalla Chiesa, con l’A112 conservo la sua memoria»
L’utilitaria su cui fu ucciso il generale si trova nel piccolo museo Beccari di Voghera
Per farla entrare hanno dovuto abbattere mezzo muro, poi ricostruito per evitare che a qualcuno venisse in mente di rubarla. L’Autobianchi A112 su cui vennero uccisi il generale Carlo Alberto dalla Chiesa e la moglie Emanuela Setti Carraro, si trova nella stanza centrale del museo Beccari di Voghera esattamente così come era il 3 settembre del 1982 dopo che un commando mafioso su ordine di Totò Riina la crivellò di colpi. A prendersene cura dal 1984, anno in cui la macchina fu trasportata da Palermo a Milano, è Giuseppina Beccari, vedova di Giuseppe, il fondatore dell’esposizione nel 1971. «In un momento in cui i giovani urlavano slogan di pace — dice Giuseppina —, mio marito volle creare un museo militare. Iniziò con pochi cimeli della Seconda guerra mondiale, ma un po’ alla volta la collezione si è allargata fino a che, a metà anni Settanta, ci hanno assegnato l’ex caserma di cavalleria di via Gramsci». Oltre mille metri quadrati dove oggi sono esposte divise, sciabole, pistole, fucili, elmetti e varie attrezzature militari dal Risorgimento agli anni di piombo.
La A112 è uno di quelli più suggestivi: sul parabrezza si vedono ancora i fori dei colpi di kalashnikov, ma oltre a quella vettura l’esposizione vanta un altro pezzo di grande interesse storico: la Beretta 34 calibro 9 matricola 778133 con la quale fu giustiziato Benito Mussolini. «L’aveva un orologiaio e partigiano di Varzi amico di mio marito — ricostruisce Giuseppina —. Prima di arrivare a noi, la pistola è passata attraverso diverse mani». Per motivi di sicurezza, l’arma non è esposta ma conservata in una cassaforte in località segreta. Il museo non può permettersi un sistema d’allarme e Giuseppina preferisce non correre il rischio che qualcuno la rubi. La pistola di Mussolini è entrata nella collezione nel 1983, l’anno dopo arrivò la A112 che era di proprietà della moglie del generale. «La mamma di Emanuela Setti Carraro, Maria Antonietta, era capogruppo delle crocerossine e durante la Seconda guerra mondiale salvò la vita a padre Molteni, figura carismatica in città — ricorda Giuseppina — e la stessa Emanuela, anche lei crocerossina, frequentava la sezione locale della Cri». Una sera del 1984 in casa Beccari arrivò una telefonata. Il padre di Emanuela sapeva che Giuseppe Beccari si stava dedicando alla creazione di un museo storico e gli propose di prendersi cura di quella A112. Giusto il tempo di consultarsi con il comandante della stazione dei carabinieri e con un giudice per eventuali implicazioni legali e poi Giuseppe Beccari diede l’assenso. Da allora, Giuseppina se ne prende cura. O meglio, fa di tutto per tenerla così com’era. Per evitare problemi alle gomme l’auto poggia su piccole pile di mattoni e la polvere viene tolta solo lo stretto necessario per non rovinare la carrozzeria.
Nonostante tanta dedizione, la A112 ha rischiato di essere demolita. Per 20 anni, infatti, Giuseppina e il marito sono stati costretti a pagare il bollo di circolazione della macchina. La burocrazia non ha mai fatto sconti e solo grazie all’interessamento dell’ex onorevole leghista, Mario Borghezio, nel 2004 l’allora ministro alle Finanze, Ottaviano del Turco, concesse l’esenzione. «Non erano somme esorbitanti — conclude Giuseppina —, ma questo è un museo che si è sempre basato sul lavoro dei volontari e che non ha mai avuto migliaia di ingressi».