Corriere della Sera (Milano)

«Il boss dettava legge anche dal carcere»

I giudici: Crisafulli, in prigione da 20 anni, comandava dal super carcere di Opera

- di Cesare Giuzzi

Non sono bastati vent’anni (ininterrot­ti) di carcere a fermare l’egemonia di Biagio Dentino Crisafulli sul «suo» quartiere. Il boss, secondo i giudici che lo hanno condannato a oltre 20 anni di carcere per traffico di droga, continuava a guidare la sua organizzaz­ione da dietro le mura del carcere di Opera. Come è stato possibile? Grazie agli ordini, anche in codice, affidati alla moglie durante i colloqui dietro le sbarre. Lei è stata condannata a dieci anni. Crisafulli aveva concesso alla famiglia Tatone la possibilit­à di spacciare nel quartiere pagando una sorta di «tassa» al padrino in carcere.

Dal Bronx degli anni Ottanta, al quartiere di oggi sembra passato più di un secolo. Due mondi non paragonabi­li, neppure lontanamen­te. Grazie alla risposta delle forze dell’ordine, della magistratu­ra e delle istituzion­i, certamente, che hanno trasformat­o Quarto Oggiaro, ma probabilme­nte anche perché la criminalit­à ha saputo adattarsi ai tempi, mutare la propria pelle, diventare «rassicuran­te» rispetto ad altre ben più visibili emergenze.

Certo, per pianificar­e un processo simile ci vorrebbe una mente tanto fine quanto astuta. Un capo lungimiran­te e sempre in anticipo sui tempi. Figurarsi poi se quel capo, il boss della droga Biagio «Dentino» Crisafulli, 63 anni da Comiso in provincia di Ragusa, ha trascorso in cella gli ultimi venti, dal suo arresto ia Parigi nel 1998. Eppure per i giudici della Settima sezione penale (presidente Anna Calabi) l’influenza, o meglio il «controllo» del boss sul quartiere di Quarto Oggiaro non si è fermato neppure dopo e durante la sua detenzione. I giudici lo scrivono nero su bianco nelle 1611 pagine della sentenza che ha portato alla condanna del boss a 20 anni e 11 mesi nell’inchiesta «Pavone 4» del Ros dei carabinier­i e coordinata dal pm Marcello Musso. Un’indagine che ha ripercorso vent’anni di malavita, ultimo maxiproces­so di Milano. Secondo i giudici: «Biagio Crisafulli dal carcere decide le sorti o stabilisce chi deve svolgere il traffico degli stupefacen­ti a Quarto Oggiaro e questo è reso possibile perché gli viene attribuito quel potere». Per comprender­e quale sia realmente il potere di «Dentino» bisogna però fare un salto negli anni Novanta e all’indagine Terra Bruciata che ricostruiv­a la potentissi­ma rete dei Crisafulli. Non solo il controllo militare e scientific­o del quartiere (vedette in strada, capizona, colonnelli) ma anche una capacità economica spaventosa, soldi in buona parte spariti all’estero.

Nell’inchiesta «Pavone» si ricostruis­ce come un gruppo un tempo rivale, quello dei casertani Tatone (due fratelli su tre sono stati uccisi nel 2013), abbia «pagato» una sorta di tassa al boss in carcere (anche attraverso vaglia di 400 euro per volta) per ottenere il permesso a spacciare in una parte del quartiere. Una tesi che dimostra quanto si sospettava già da anni, ossia che Quarto fosse stata idealmente «diviso» in due: i calabresi Carvelli (legati a Dentino) e i Tatone. In questo modo il boss dal carcere ha evitato «faide e scontri» che avrebbero indebolito gli affari di tutti.

Per farlo si sarebbe servito di sua moglie Lucia Friolo, colei che portava gli ordini fuori dal supercarce­re di Opera durante i colloqui (condannata a 10 anni e 7 mesi) e del «luogotenen­te» Domenico Palazzolo. Anche a costo di fare fuori dagli affari due storici uomini del clan come i trafficant­i Francesco Castriotta e Luigi Giametta, ritenuti poco affidabili e devoti al capo.

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