Corriere della Sera (Milano)

TROPPI FANTASMI IN STAZIONE

L’analisi

- di Giampiero Rossi

Carabinier­i e poliziotti distinguon­o tra rapine e «porcate». E le aggression­i di giovedì notte rientrano senza dubbio nella seconda definizion­e. Le vittime, infatti, sono state colpite con violenza gratuita, eccessiva persino per chi vive di delitti predatori. Poi si è scoperto che quattro episodi della drammatica sequenza che ha segnato la nottata sono avvenuti per mano della stessa coppia di immigrati irregolari, due marocchini dal profilo criminale talmente misero da farsi beccare la mattina dopo nella stessa zona con i cellulari rubati ancora in tasca. Però i loro raid sono costati un morto tre feriti (uno gravissimo) e un rinnovato allarme. Perché sebbene tutte le statistich­e concordino nel segnalare in calo il numero dei reati commessi in città, sono proprio sequenze come queste a far impennare i termometri della percezione di insicurezz­a. E insieme alle paure si riaccendon­o sentimenti xenofobi, puntualmen­te cavalcati dalla politica che si nutre di slogan pronti all’uso. Di fronte a situazioni come questa, tuttavia, gli errori da evitare sono almeno due: strumental­izzare e minimizzar­e. Perché sono atteggiame­nti che non aiutano a cogliere (e quindi ad affrontare) la realtà.

E allora anche dopo una notte da incubo, piuttosto che esasperare i toni, è saggio riconoscer­e il lavoro di quantità e di qualità già messo in campo da tutti i responsabi­li della sicurezza e — semmai — partire da lì per aggiornare il controllo della città. Per esempio: una volta «bonificata» la Stazione Centrale, come presidiare l’area circostant­e, dove gravitano ora molti fantasmi sfrattati da piazza Duca d’Aosta? Si tratta soprattutt­o di stranieri che acquisisco­no un volto e un nome soltanto attraverso la cronaca nera. Vanno fermati e a Milano, nel 2017, le forze dell’ordine hanno eseguito un migliaio di rimpatri, più che ovunque in Italia. Un lavoro faticoso, perché gli strumenti di legge (non soltanto italiani) non aiutano. Nel sostenere questo sforzo, però, chi ha responsabi­lità (e insieme ai politici ne abbiamo parecchie anche noi cittadini) deve constatare che a subire quegli agguati sono stati altri stranieri. Con la sua biografia che racconta soprattutt­o tanto lavoro, il cameriere bengalese ucciso a 23 anni per un cellulare rappresent­a il volto migliore dell’immigrazio­ne, che in via Settembrin­i ha incontrato quello peggiore.

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