Corriere della Sera (Milano)

«L’Inter è pazienza»

Istituto dei tumori, l’ex presidente al club nerazzurro: «Vorrei un attaccante in più»

- Rossi

Dal 2014 si ripete un incontro tra tifosi interisti all’Istituto dei tumori. Padrino l’ex presidente Massimo Moratti: «Il mondo cambia anche il calcio: serve pazienza, non nostalgia».

«Il mondo cambia e il calcio ne è un riflesso. Ci vuole pazienza e non nostalgia. E poi una squadra appartiene innanzitut­to ai suoi tifosi, quindi l’Inter è dei milanesi».

I camici bianchi dei medici e le tute verdine degli infermiere, vestaglie e qualche turbante a coprire gli effetti della chemiotera­pia tra i pazienti. E poi dirigenti, impiegati, visitatori. Insomma, l’intero Istituto dei tumori è rappresent­ato nell’aula magna dove Massimo Moratti parla di Inter, di calcio e non solo. Non è il primo appuntamen­to di questo tipo organizzat­o in via Venezian dal club di tifosi nerazzurri fondato nel 2014 dal dottor Enrico Regalia e che conta più di trecento iscritti. Ma questo incontro, dedicato alla «passione», è diverso. Perché se anche la società ha un altro proprietar­io, il solo nome «Moratti» continua a essere sinonimo di Inter per tre generazion­i. Che ora si appellano a lui alla ricerca di rassicuraz­ioni sul futuro, conforto sul presente e retroscena dal passato.

Il punto di partenza (oltre alla Juve) sono i cinesi: possono amare e capire l’Inter come solo un vero tifoso può fare? E lui — come uno zio che raccoglie le confidenze del nipote in crisi con i genitori — prova a smussare: «Guardate che il giovane Zhang è un bravissimo ragazzo e la passione si accende proprio dopo certe partite, per la sofferenza, per gli episodi che si verificano in campo. Certo — prosegue — la storia cambia anche il carattere di una società, ma se poi si comincia a vincere... Insomma, occorre pazienza, la nostalgia non serve».

Di fronte allo sfogatoio nerazzurro — garbato nei toni ma severo nella sostanza — il presidente del Triplete cerca di smussare: «In gennaio hanno portato qui Rafinha e Cancelo, non è vero che non hanno fatto niente. Ecco, forse io avrei preso un attaccante in più...». Si sovrappone una voce dal fondo della sala: «Anche perché lei comprava sempre attaccanti». Risata generale. Poi le domande portano alla prima Coppa dei Campioni vinta dalla Grande Inter di papà Angelo nel 1964 («Mi ricordo che in tribuna c’era Alfred Hitchcock»), alla notte in cui Josè Mourinho non tornò da Madrid («Fece una cosa sbagliatis­sima, però l’indomani era già a casa mia e comunque lo perdono perché ha vinto tutto»). Poi è lui stesso che si lascia andare.Un rimpianto? «Se nel 2000 avessi saputo che Robbie Kean piangeva perché suo padre riteneva un fallimento il fatto che l’Inter lo avesse ceduto dopo solo sei mesi, allora lo avrei tenuto». Un successo? «Lo scambio Ibrahimovi­cEto’o fu perfeziona­to sul pianerotto­lo di casa mia con una stretta di mano con quel gentiluomo del presidente del Barcellona».

Ora che non è più sua, soffre meno per l’Inter ? «Un presidente è comunque tifoso e soffre. La differenza è che ora non devo pensare a cosa fare l’indomani. Ma all’epoca, stavo male quando vedevo un tifoso soffrire. Avrei voluto dire: per questo ci sono io, voi tornate a casa tranquilli, la sofferenza lasciatela a me».

La trattativa

Lo scambio Ibrahimovi­cEto’o fu perfeziona­to sul pianerotto­lo di casa mia con una stretta di mano

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Sorrisi Massimo Moratti, 72 anni, ex patron dell’Inter, con i medici di via Venezian

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