E il New York Times sbarcò a Sesto «L’Italia di destra che scoraggia i migranti»
Asorpresa, il primo articolo del New York Times dell’altro giorno era dedicato a Sesto San Giovanni. Sesto? Sì, un po’ come se il Corriere dedicasse l’intera pagina tre o quattro a cosa sta succedendo nei centri commerciali di Elizabeth o alle vicende di Industry City a Brooklyn. Cosa può mai interessare all’élite newyorkese della nostra deindustrializzata Sesto San Giovanni? Elisabetta Povoledo, autrice del reportage intitolato «Outside Milan, a Taste of a Right-Wing Italy» (scrive per il Nyt dal 1992 ed è corrispondente dall’Italia), lo fa subito capire: «Sesto è il luogo dove la (ndr difficile) economia del Paese e la crisi dei migranti collidono». Sesto «è stata per 70 anni bastione della sinistra — scrive —, che ha accolto i poveri migranti del Sud nelle fabbriche». Ora è alle prese con la nuova immigrazione, che costituisce il 19% dei circa 81 mila abitanti di Sesto. Solo che — ed ecco il punto che fa scattare l’articolo — le ultime elezioni sono state vinte dal centrodestra, e il sindaco Roberto Di Stefano è colpevole «di far sentire i migranti non i benvenuti in città». In una intervista, si legge nell’articolo, Di Stefano si è vantato di aver espulso 230 immigrati irregolari al suo insediamento e di aver chiesto al governo l’invio di militari per la sorveglianza delle strade. Inoltre, aspetto più lungamente documentato, «ha bloccato la costruzione della moschea approvata dalla precedente amministrazione». Da un lato, il sindaco teme che la moschea darebbe vita a un ghetto musulmano; dall’altra, i responsabili delle comunità islamiche ricordano che i musulmani sono presenti ormai da decenni, molti sono di seconda generazione, e rivendicando il diritto di avere luoghi di preghiera adeguati. A far sentire ancora più insicuro il 19% di popolazione straniera è stata la scelta della giunta di scrivere alle ambasciate dei Paesi di alcuni di migranti bisognosi di cure chiedendo loro di farsi carico dei propri concittadini. Richieste che non hanno ottenuto alcuna risposta. L’articolo raccoglie poi alcuni pareri di immigrati introdotti nel tessuto cittadino che lamentano lo stato di cose. Il dottor Andi Nganso, ad esempio, stigmatizza il rifiuto di una concittadina bianca a non farsi visitare da lui (che è nero) in quanto si è dichiarata imbarazzata; ciò fa dire al dottore che «il razzismo è qualcosa che viene alimentato». Naturalmente qui scatta il popolare refrain secondo il quale la paura per il fondamentalismo islamico è il «populist refrain» utilizzato dalla destra di Salvini. A questo punto della ricostruzione, però, ci saremmo immaginati anche di leggere che proprio qui, all’alba del 23 dicembre 2016 due agenti della polizia stradale fermarono per un controllo e uccisero Anis Amri, il terrorista musulmano che aveva appena compiuto una strage a Berlino (12 morti e 56 feriti tra gli avventori di un mercatino di Natale ) proprio in nome del fondamentalismo islamico. E alle tre di notte girava per Sesto con una pistola. Una dimenticanza da nulla per il quotidiano americano.