«Donne catalogate, si rischia la beffa»
L’appello del legale che assiste quindici ragazze finite sul web: non archiviate il caso
Aun anno dalle denunce presentate da centinaia di donne di Lecco, l’indagine sul «catalogo delle single» (profili presi da Facebook e rivenduti), non si è ancora conclusa. «Temiamo che si vada verso l’archiviazione, sarebbe una vera beffa per tutte le vittime», denuncia l’avvocato Marisa Marraffino che tutela una quindicina di ragazze. Nessuna risposta nemmeno dal garante della privacy.
LECCO «Mi auguro che il caso non venga archiviato senza che vi sia alcuna conseguenza per l’autore. Una beffa per le centinaia di vittime lecchesi che a loro insaputa sono finite in un becero elenco, quasi fossero merce in vendita solo perché donne single. È già passato un anno e le indagini non sono ancora state concluse». L’avvocato Marisa Marraffino, esperta di reati informatici, scuote la testa e non nasconde la preoccupazione. A lei, tramite l’interessamento della consigliera di parità della provincia di Lecco Adriana Ventura, si sono affidate una quindicina delle protagoniste, a loro insaputa, dell’ormai famoso catalogo delle donne single. Decise a far valere le loro ragioni nel processo penale che però al momento non si è ancora aperto e forse non si aprirà mai.
Iscritto nel registro degli indagati Nicola Antonio Marongelli, 49 anni, di Valmadrera. È lui l’autore dell’ebook di novantacinque pagine con i nomi di 1.218 lecchesi che sul loro profilo Facebook si erano dichiarate libere da legami sentimentali. In vendita per sei euro e 74 centesimi era stato ritirato dalla rete non appena le vittime si erano riconosciute sul discutibile opuscolo con tanto di nome, cognome e fotografia «scippati» dal social. «Siamo in attesa della notifica di conclusione delle indagini, ma nei giorni scorsi il pubblico ministero titolare del fascicolo, la dottoressa Silvia Zannini, mi ha fatto sapere di aver bisogno ulteriore tempo per condurre altri approfondimenti — spiega Marraffino —. Auspichiamo ci sia la richiesta di rinvio a giudizio, ma il timore è che invece il giudice decida per l’archiviazione. Anche se il catalogo è stato ritirato dal web, riteniamo che l’illecito ci sia stato, non dimentichiamo che in quella pubblicazione sono finite anche vedove e minorenni. Le donne che si sono rivolte a me sono state violate nei loro diritti e dipinte sulla piazza virtuale della rete come disponibili solo perché single. Ricordo il caso di una giovane arrivata nel mio studio in lacrime perché durante una visita medica nella sala d’aspetto della clinica alcune persone parlavano del catalogo in tono allusivo. Si era sentita colpevole senza motivo. Un’altra era stata improvvisamente subissata di richieste di amicizia e anche qualche proposta decisamente spinta. Dal punto di vista civile si potrebbe già agire, ma avrebbe poco senso visto che Marongelli potrebbe non essere in grado di risarcirle. Abbiamo scelto la strada del processo penale, si tratterebbe del primo di questo in genere in Italia, proprio per lanciare un messaggio forte. Puntiamo a una condanna per diffamazione, anche se sappiamo che sarà difficile perché il caso non ha precedenti».
Le vittime che hanno sporto querela presso il Tribunale di Lecco sono pronte a costituirsi parte civile, mentre in sospeso c’è anche la richiesta inoltrata a giugno dello scorso anno al garante della privacy per modificare le impostazioni di sicurezza su Facebook. Sul tavolo la proposta di non rendere pubbliche in automatico, come accade ora, informazioni relative a dati sensibili, come l’orientamento sessuale o lo stato civile. «Abbiamo presentato un esposto e chiesto un incontro al garante della privacy, ma anche qui non abbiamo avuto risposta. Eppure il tema è di grande attualità. C’è stato il caso Cambridge Analytica, che ha utilizzato i dati personali di milioni di utenti Facebook per finalità non consentite. Le donne finite nel catalogo meritano una risposta, questo è certo», conclude Marisa Marraffino.