Mense comunali Sei dipendenti tra gli abusivi Mm
I veleni su alloggi occupati e sgomberi pilotati
Tra gli inquilini abusivi delle case popolari Mm spuntano i nomi di almeno sei dipendenti di cooperative al servizio di Milano Ristorazione. Soltanto uno di loro è stato sgomberato. E su questo si fondano le denunce dell’ex comandante della polizia locale, Antonio Barbato, che accusa il Comune di aver «pilotato» gli allontanamenti. Ma l’ex assessore Rozza ribatte: «Barbato è sempre stato informato, ci sono documenti firmati anche da lui».
A fine dicembre 2016, due ispettori Mm salgono in un palazzo popolare di via Caltagirone, a Bruzzano. Sono lì per una verifica su un’occupazione. L’abusivo spiega di «essere dipendente di una cooperativa per Milano Ristorazione», la società del Comune che serve i pasti per scuole, asili, residenze per anziani. È una situazione paradossale: l’uomo, seppur indirettamente, vive con uno stipendio pagato dal Comune; allo stesso tempo, occupa abusivamente una casa popolare, sempre del Comune. E non è il solo.
Perché quello stesso giorno gli ispettori verificano anche un secondo contratto, allo stesso indirizzo. E scoprono altri due occupanti «storici», abusivi da una decina d’anni. Entrambi dichiarano di lavorare per Milano Ristorazione (anche loro, è presumibile, attraverso cooperative — è bene
Barbato L’ex capo dei vigili accusa e afferma che la struttura di «gestione» degli abusivi operava al di fuori della sua conoscenza
precisare che l’azienda comunale non ha alcuna responsabilità). In entrambi i casi, gli abusivi reagiscono male alla visita degli ispettori, dicono di essere in contatto con i sindacati e i comitati inquilini di zona, e che non hanno alcuna intenzione di lasciare l’alloggio.
In via Caltagirone, più o meno negli stessi giorni, viene però «censito» anche un altro abusivo, che ha più di vent’anni di occupazione alle spalle. Ultimamente è stato segnalato da altri abitanti perché ogni tanto esagera con l’alcol. Anche in questo caso, a spiazzare gli ispettori, è il suo impiego, a certificazione del quale mostra anche i documenti: dipendente della Regione Lombardia.
Presi così, questi casi, parte dei mille abusivi nelle 28 mila case del Comune, raccontano la complessità di quel mondo a parte che sono gli alloggi popolari e le difficoltà di chi si trova a gestirli (Metropolitana milanese ha preso in carico il patrimonio immobiliare di Palazzo Marino dal 2015, ereditando molte situazioni dall’Aler).
Oggi però la gestione delle case popolari è finita al centro di un paio di corpose e articolate denunce. Entrambe arrivano da appartenenti o ex appartenenti alla polizia locale (una, già depositata, è dell’ex comandante Antonio Barbato). Gli esposti accusano il Comune di aver alterato le procedure stabilite dalla Prefettura per decidere gli sgomberi e di aver «pilotato» gli allontanamenti degli abusivi dagli alloggi. Obiettivo: acquisire consenso politico ed elettorale nei quartieri. Tutto questo sarebbe avvenuto dopo l’insediamento della giunta Sala, ostacolando il regime di regole che Comune e Prefettura avevano concordato per riportare la legalità nelle periferie a partire dal 2014.
Di fatto, a Palazzo Marino, l’assessorato alla Casa si sarebbe defilato, lasciando il tema sgomberi in mano alla Si-
Rozza Ho sempre incentivato lo scambio di informazioni con i quartieri Il problema di solito è il contrario: le istituzioni sono troppo distanti dalla gente
curezza, dove le decisioni sul «dentro o fuori» degli abusivi venivano prese con criteri più politici e meno tecnici, presentando poi alla Prefettura, titolare e garante delle decisioni, elenchi già «scremati». Ciò sarebbe avvenuto attraverso una struttura che ruotava intorno a un singolo vigile, al centro di una rete di referenti tra comitati di quartiere e gruppi di cittadini nelle periferie. L’ex comandante Barbato sostiene che questa struttura operasse in qualche modo fuori dalla sua conoscenza. L’ex assessore alla Sicurezza Carmela Rozza (ora in Regione) ribatte e ribadisce: «Il comandante è sempre stato informato e ci sono i documenti, firmati anche da lui, che lo certificano».
Il Corriere ha potuto consultare una corposa mole di atti e corrispondenza interna, attraverso la quale è possibile ricostruire come funzionasse il meccanismo. L’agente di polizia locale chiedeva informazioni ai comitati e riceveva segnalazioni sui profili delle famiglie abusive. In uno di questi scambi di notizie, ad esempio, il vigile raccoglie dal «territorio» l’indicazione di «salvare» due famiglie di via Cogne e via Pascarella: una «lavora per “le mense” e non crea problemi»; nell’altra, il capofamiglia «lavora per Milano Ristorazione. Da non mettere in programmazione (per uno sgombero, ndr)».
Tema scivoloso. Chi attacca sull’«uso politico degli sgomberi» ritiene che questo allargamento della base informativa a «soggetti non titolati» sia una distorsione di procedure delicate, che dovrebbero essere gestite con la massima trasparenza da soggetti istituzionali (Mm, polizia locale e commissariati, con l’approvazione della Prefettura). Dall’altra parte, l’assessore Rozza rivendica l’efficacia del metodo e la sua correttezza: «Lo scambio di informazioni con i quartieri l’ho sempre incentivato. Il problema, semmai, è il contrario: le istituzioni ascoltano troppo poco i cittadini, e dunque noi abbiamo cercato di ascoltarli il più possibile, di riceverli sempre. I cittadini sono stati semplicemente una fonte in più, per comprendere i problemi delle case popolari, e tutte le segnalazioni sono state poi gestite e vagliate dalla polizia locale e da Mm. Secondo una chiara direttiva: allontanare, come priorità, gli abusivi che delinquono, minacciano e prevaricano».
Per quanto è stato possibile ricostruire, il dipendente di Regione Lombardia è stato sgomberato. Delle sei famiglie che lavorano per cooperative al servizio di Milano Ristorazione, cinque sono ancora in una casa abusiva, solo una è stata sgomberata (a gennaio scorso): era anche l’unica con un profilo criminale, legata da stretti vincoli ai gruppi storici della malavita di Bruzzano/Comasina.