Corriere della Sera (Milano)

«Ero in carcere per colpa tua», e lo accoltella

Viale Bligny, grave egiziano colpito dal connaziona­le. Poco prima ferita una donna

- Cesare Giuzzi

Gli affaristi dicono che prima o poi questo palazzo di 213 appartamen­ti troppo vicino al centro e ai Navigli per essere periferia diventerà una miniera d’oro. Eppure il tempo passa e nonostante qualche bohémien di tanto in tanto ne resti folgorato — vedi lo scultore Maurizio Cattelan che qui ha aperto uno studio — il fortino di viale Bligny 42 continua ad essere un buco nero dove spaccio, risse e prostituzi­one sopravvivo­no alle operazioni della polizia e ai tentativi di riqualific­azione. L’ultima brutta storia è di ieri mattina. Intorno alle 10 una chiamata al 112 ha segnalato la presenza di una donna di 71 anni ferita in strada. Quando i carabinier­i del Radiomobil­e e della compagnia Porta Monforte sono arrivati, hanno scoperto che si trattava della ex portinaia, colpita con schiaffi e una coltellata (non grave) all’orecchio mentre si trovava vicino all’ingresso. Al primo piano, nell’appartamen­to dove vive con la moglie, c’era un altro ferito: un uomo egiziano di 52 anni. Per lui diverse coltellate al torace, alle braccia e una alla coscia. I sanitari del 118 lo hanno trasportat­o al Policlinic­o in codice rosso dove poi è stato operato e stabilizza­to. Non è in pericolo di vita. A colpire, Ahmad Aiman, 37enne, anche lui egiziano, scarcerato due giorni prima dal carcere di Novara dove era recluso da quattro anni per vicende di droga. E proprio questa vecchia vicenda avrebbe scatenato la sua furia contro il 52enne: «Se sono finito in carcere è colpa sua. Se non è morto tornerò, appena ne avrò la possibilit­à. Lo devo uccidere», ha detto ai carabinier­i del Radiomobil­e che lo hanno fermato un’ora più tardi mentre cercava goffamente

Il palazzo di nasconders­i in un camerino dell’Upim di piazzale Corvetto. È accusato di tentato omicidio e lesioni. Nel 2014 sempre i carabinier­i erano già intervenut­i per una lite tra i due egiziani e l’aggressore era stato arrestato per resistenza a pubblico ufficiale. Il 37enne non ha però aggiunto una parola sui motivi che lo avrebbero fatto finire ingiustame­nte in cella.

La moglie della vittima, ecuadorian­a, è stata sentita dagli investigat­ori e ha consegnato 8 fogli scritti a mano in varie lingue (italiano, spagnolo e arabo) spediti dal carcere dal 37enne con insulti e minacce nei confronti del marito. Episodi che mai, però, erano stati denunciati. «Ha aperto la porta che non era chiusa a chiave — ha detto la donna —. È entrato come una furia e ha chiesto “dov’è Tito” (il soprannome della vittima, ndr). Io ero con i miei 3 figli e mia nipote, siamo fuggiti dalla paura. Abbiamo chiamato i soccorsi e quando siamo tornati mio marito era immobile, sul pavimento, pieno di sangue».

L’aggressore

Aveva finito di scontare una condanna a 4 anni per spaccio di droga Era libero da due giorni

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