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Uniformi, cimeli, foto e documenti La Grande Guerra dei carabinieri nella mostra all’Archivio di Stato
Numero di matricola 52271, altezza 166 centimetri, occhi grigi, figlio dei milanesi Secondo e Giovanna residenti al civico 92 di via Canonica: il vice brigadiere Carlo Borello, asso dell’aviazione, protagonista di battaglie e azioni eroiche, è stato uno dei 1.400 carabinieri caduti durante la Prima guerra mondiale, a conferma di quanto la storia debba sempre essere data dalla somma dei singoli comportamenti e di come sia necessario, anzi doveroso, evitare generalizzazioni e lasciarsi trascinare dalla pigrizia culturale. Il luogo comune secondo il quale in quel conflitto il contributo dell’Arma sia stato soltanto di rappresaglia contro i connazionali — le fucilazioni a danno di soldati disobbedienti o paurosi — non tiene per appunto conto di una vastità di comportamenti valorosi. La mostra itinerante che da oggi — con inaugurazione ufficiale alle ore 18 — sarà ospitata nell’Archivio di Stato di via Senato 10, dal titolo «I carabinieri nella Grande Guerra», è un’occasione per una lettura più ampia e veritiera. In esposizione uniformi, cimeli, documenti, fotografie lungo un cammino che racconta i tanti Carlo Borello caduti al fronte.
Dietro la mostra c’è la grande passione del generale di Corpo d’Armata Riccardo Amato, comandante interregionale Pastrengo e da poco vicecomandante dell’Arma. Sostenitore del rispetto verso la memoria, Amato ha spinto questo percorso che pone l’evidenza sulle azioni militari dei carabinieri, sul lavoro troppo spesso sottovalutato di intelligence, sul supporto alla popolazione stanca e affamata, e ancora sull’altrettanto prezioso contributo fornito dai forestali e sulle specificità di talenti dell’Arma che non sempre hanno avuto il meritato riconoscimento. La figura di Borello, restituita al pubblico grazie alla minuziosa operazione di scavo negli archivi del capitano Silvio Ponzio, ci riporta all’altopiano di Asiago e all’estate del 1918. A giugno, di ritorno da un vittorioso assalto, il vice brigadiere fu colpito nei cieli dall’artiglieria nemica; l’aeroplano precipitò incendiandosi, Borello atterrò di fortuna ma anziché andarsene, quando tutt’intorno volavano cartucce ed esplodevano bombe, indugiò a oltranza per aiutare il collega a bordo a uscire dall’abitacolo. Borello tornò in volo. Lo fece fino all’uccisione, avvenuta il 5 agosto sopra la val Lagarina. Non aveva compiuto neanche trent’anni. S’era trovato d’improvviso in solitaria, senza più la scorta, accerchiato dagli avversari in numero superiore. Avrebbe potuto ripiegare e ritirarsi, e invece restò, abbattendo nemici e infine venendo colpito.
Prima d’indossare la divisa ed entrare in guerra, Carlo Borello, che aveva casa in via Bramante, era stato un meccanico. Sapeva leggere e scri- vere. Il vice brigadiere, così riportano le cronache d’allora e le successive testimonianze di compagni di battaglia, univa la freddezza all’abilità e si sentiva, prima d’ogni altra cosa, un carabiniere nel profondo dell’animo. Sognava di tornare a Milano, forse d’aprire un’officina meccanica, di certo di fare il papà.