LE «AVANCES», L’INDIFFERENZA E IL SILENZIO CHE ISOLA LE DONNE
Caro Schiavi, le racconto quanto accaduto in una normale mattina di maggio, in una normale carrozza delle linea 3 della metropolitana, a giovani ragazze che hanno avuto la semplice sfortuna di salire sul treno sbagliato, all’orario verosimilmente consueto per andare al lavoro.
Sul treno, uno di quelli le cui carrozze comunicano tutte tra loro, confuso tra ignari pendolari delle 7.10, sale un ragazzotto di bella presenza, vestito con jeans e felpa, apparentemente curato. Inizia il suo pellegrinare tra una giovane donna e l’altra, con atteggiamento baldo e cordiale. Quasi seguendo un rituale, ne avvicina una, le dice qualcosa in modo confidenziale e dopo qualche frasetta si allontana e riparte con un’altra. Le ragazze dopo un’iniziale sorpresa mostrano un atteggiamento dapprima contrariato e poi, infastidite, cercano di allontanarsi o allontanare il soggetto che dimostra di essere seccato da questa cosa e allora, sprezzante, apostrofa in malo modo la malcapitata.
Il tutto sotto lo sguardo attento di noi donne, che ci guardavamo incredule e controllavamo i movimenti del soggetto e nelle più totale indifferenza dei soggetti di pari sesso dell’ominide di cui sopra. Siamo ancora ben lontane, noi donne, dal poterci muovere tranquille e sicure sui mezzi e in città e il degrado morale che permea la nostra società e che fa chiudere gli occhi davanti a persone in evidente difficoltà è a livelli ormai estremi. Perché io non sono intervenuta? Per paura. E visto il menefreghismo degli uomini presenti credo che fosse giustificabile. Se il soggetto, a fronte di una mia reazione a difesa di una delle ragazze avesse reagito in malo modo nei miei confronti, sono certa che nessuno avrebbe levato un dito in mia difesa.
Gentile Laura, questa lettera ci riguarda. Nel senso di noi uomini. Menefreghisti, rassegnati, incapaci di alzare una mano e dire alt, fermati, a un molestatore seriale. Soprattutto di difendere una ragazza in difficoltà. In questi tempi di inusitata violenza contro le donne, non si può essere spettatori, per giunta passivi. Capisco più la sua paura dell’indifferenza. La paura esiste, la cronaca è piena di casi in cui chi interviene rischia la vita. Ma in certi casi dovrebbe scattare una solidarietà condivisa. Siamo pur sempre una comunità e la giovane ragazza del metrò potrebbe essere nostra figlia: non possiamo chiamarci fuori, come scrive, invitandoci a reagire, la 27esima ora.