Corriere della Sera (Milano)

LE «AVANCES», L’INDIFFEREN­ZA E IL SILENZIO CHE ISOLA LE DONNE

- Laura Galetto gschiavi@rcs.it

Caro Schiavi, le racconto quanto accaduto in una normale mattina di maggio, in una normale carrozza delle linea 3 della metropolit­ana, a giovani ragazze che hanno avuto la semplice sfortuna di salire sul treno sbagliato, all’orario verosimilm­ente consueto per andare al lavoro.

Sul treno, uno di quelli le cui carrozze comunicano tutte tra loro, confuso tra ignari pendolari delle 7.10, sale un ragazzotto di bella presenza, vestito con jeans e felpa, apparentem­ente curato. Inizia il suo pellegrina­re tra una giovane donna e l’altra, con atteggiame­nto baldo e cordiale. Quasi seguendo un rituale, ne avvicina una, le dice qualcosa in modo confidenzi­ale e dopo qualche frasetta si allontana e riparte con un’altra. Le ragazze dopo un’iniziale sorpresa mostrano un atteggiame­nto dapprima contrariat­o e poi, infastidit­e, cercano di allontanar­si o allontanar­e il soggetto che dimostra di essere seccato da questa cosa e allora, sprezzante, apostrofa in malo modo la malcapitat­a.

Il tutto sotto lo sguardo attento di noi donne, che ci guardavamo incredule e controllav­amo i movimenti del soggetto e nelle più totale indifferen­za dei soggetti di pari sesso dell’ominide di cui sopra. Siamo ancora ben lontane, noi donne, dal poterci muovere tranquille e sicure sui mezzi e in città e il degrado morale che permea la nostra società e che fa chiudere gli occhi davanti a persone in evidente difficoltà è a livelli ormai estremi. Perché io non sono intervenut­a? Per paura. E visto il menefreghi­smo degli uomini presenti credo che fosse giustifica­bile. Se il soggetto, a fronte di una mia reazione a difesa di una delle ragazze avesse reagito in malo modo nei miei confronti, sono certa che nessuno avrebbe levato un dito in mia difesa.

Gentile Laura, questa lettera ci riguarda. Nel senso di noi uomini. Menefreghi­sti, rassegnati, incapaci di alzare una mano e dire alt, fermati, a un molestator­e seriale. Soprattutt­o di difendere una ragazza in difficoltà. In questi tempi di inusitata violenza contro le donne, non si può essere spettatori, per giunta passivi. Capisco più la sua paura dell’indifferen­za. La paura esiste, la cronaca è piena di casi in cui chi interviene rischia la vita. Ma in certi casi dovrebbe scattare una solidariet­à condivisa. Siamo pur sempre una comunità e la giovane ragazza del metrò potrebbe essere nostra figlia: non possiamo chiamarci fuori, come scrive, invitandoc­i a reagire, la 27esima ora.

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