Nureyev amerebbe l’«Apollo» di Bolle
Se Nureyev potesse vedere, nella «Serata» che la Scala gli dedica, l’«Apollo» danzato da Roberto Bolle, si entusiasmerebbe per l’abbagliante nitore con cui l’étoile — il pupillo che il russo avrebbe voluto al suo fianco come Tadzio in «Morte a Venezia» — riesca oggi a incarnare l’idea di classicismo riletta nel Novecento da Balanchine, proiettandola nel futuro. L’architettura di duetti, variazioni e pose plastiche sulle note di Stravinskij è costruita per un virtuoso e tre muse: brave ed eleganti, Nicoletta Manni (una Tersicore dalle linee superlative), Martina Arduino (Polimnia), Virna Toppi (Calliope). Il capolavoro balanchiniano è lo zenit di un programma ben concepito, preceduto da due titoli del repertorio Nureyev: la «Bella Addormentata» (terzo atto) e «Don Chisciotte» (grand pas de deux del terzo atto) rimontati da due fedelissime del divo Rudolf, Monique Loudières e Florenc Clerc. In una corte di personaggi fiabeschi (brillano Sutera-Valerio, Albano-Fresi), l’Aurora della «Bella» è interpretata con superba grazia e controllo regale da Svetlana Zakharova in coppia con Germain Louvet: al suo debutto alla Scala, il francese sfoggia gambe d’alta scuola. Meno di classe «Don Chisciotte»: la Kitri tecnica della briosa Nuñez si accompagna al Basilio di Muntagirov, non sempre al top. Saldamente sul podio, direttore ma anche anfitrione, David Coleman.