Corriere della Sera (Milano)

Una tendopoli sulla ciclabile

La pista di cemento è diventata rifugio per italiani e stranieri

- di Francesco Gastaldi

La passerella ciclopedon­ale sull’Adda diventata rifugio per clochard e immigrati. A Lodi la pista larga due metri è occupata da materassi di senzatetto che si lavano nel fiume e mangiano alla Caritas.

LODI Dormono sulla ciclabile, si lavano nel fiume, mangiano alla Caritas. Trascorron­o la giornata in città, chi cercando un lavoro, chi cercando di raggranell­are qualche moneta fuori dai market. Benvenuti all’«hotel tangenzial­e», dove la passerella ciclopedon­ale del ponte sull’Adda, inaugurata 22 anni fa, è diventata un rifugio per emarginati. I quali dormono all’aperto (anche d’inverno) su materassi di fortuna e vivono in una striscia di cemento larga due metri. Quasi tutti stranieri ma ci sono anche italiani. Almeno trenta senzatetto in estate, una quindicina d’inverno.

La loro casa è una passerella ciclabile sospesa sopra il fiume Adda e sotto il piano stradale, che offre un riparo in calcestruz­zo. «Ci protegge dalla pioggia», racconta Kamate, ivoriano a Lodi da due anni e che sotto il ponte ha trascorso anche l’inverno. «Per resistere al freddo mi vesto pesante e arrivo a usare tre piumoni». Lungo la passerella — 150 metri di lunghezza e meno di due in larghezza a un chilometro da Lodi — i senzatetto hanno disposto con ordine 30-35 materassi. C’è anche chi dorme in tenda. Le condizioni sono terribili: sporcizia, biciclette smontate e usate come attaccapan­ni, e poi le bici vere, unico mezzo di trasporto che li collega con il resto della città. I panni sono stesi sul corrimano, pezzi di mobili da ufficio servono a dividere il proprio spazio da quello del vicino di branda. C’è chi ha un set di padelle e con poche braci riesce a cucinarsi la cena. Ma i più vanno alla mensa della Caritas che offre loro tre pasti al giorno. Sono quasi tutti regolari e con permesso di soggiorno, ma al di là di quello non hanno altro: soldi, lavoro, casa. Come Djbril, ragazzo maliano che per sei mesi ha lavorato per una cooperativ­a di pulizie al cimitero di Casalpuste­rlengo, poi la coop ha perso l’appalto e lui è finito sotto il ponte: «Ho dieci anni di esperienza come meccanico ma non riesco a trovare lavoro. E non posso permetterm­i neanche una stanza. Ma voglio restare in Italia».

Cissokho e Loki invece, entrambi del Mali, non potevano più stare nei dormitori di Milano e sono arrivati a Lodi. Con il passaparol­a hanno scoperto che c’era posto sotto il ponte. «La cosa più grave — spiega Davide Adoni, operatore della Caritas di Lodi, unica organizzaz­ione a mantenere un canale con i disperati della passerella — è che nonostante siano tutti immigrati regolari, nessuno ha una residenza anagrafica. E di conseguenz­a non possono accedere ad alcun servizio, nemmeno ottenere una sim card per chiamare i genitori nel loro paese. È un popolo senza identità». La Caritas lodigiana offre servizi come il centro diurno, la lavanderia, tutoraggio sui curriculum, taglio capelli, laboratori e perfino partite di calcetto. Due i dormitori, realizzati in spazi comunali, ma i posti sono inferiori alle richieste. La mensa dei poveri serve 25mila pasti all’anno e nel 2017 ha accolto 465 persone. Fino a dicembre un’educativa di strada permetteva agli operatori di parlare e all’occorrenza soccorrere gli emarginati del ponte, ma il progetto non è stato ancora confermato dall’ufficio di piano.

«Motivo per cui — è l’appello di don Andrea Tenca, direttore della Caritas diocesana — è necessario far ripartire il tavolo di confronto istituzion­ale che fino all’anno scorso era attivo. Queste persone non possono essere abbandonat­e».

La Caritas

«I profughi sono tutti regolari ma nessuno di loro ha una residenza anagrafica»

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Passaggio La situazione della ciclabile sul’Adda trasformat­a in riparo d’emergenza per senzatetto

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