Una tendopoli sulla ciclabile
La pista di cemento è diventata rifugio per italiani e stranieri
La passerella ciclopedonale sull’Adda diventata rifugio per clochard e immigrati. A Lodi la pista larga due metri è occupata da materassi di senzatetto che si lavano nel fiume e mangiano alla Caritas.
LODI Dormono sulla ciclabile, si lavano nel fiume, mangiano alla Caritas. Trascorrono la giornata in città, chi cercando un lavoro, chi cercando di raggranellare qualche moneta fuori dai market. Benvenuti all’«hotel tangenziale», dove la passerella ciclopedonale del ponte sull’Adda, inaugurata 22 anni fa, è diventata un rifugio per emarginati. I quali dormono all’aperto (anche d’inverno) su materassi di fortuna e vivono in una striscia di cemento larga due metri. Quasi tutti stranieri ma ci sono anche italiani. Almeno trenta senzatetto in estate, una quindicina d’inverno.
La loro casa è una passerella ciclabile sospesa sopra il fiume Adda e sotto il piano stradale, che offre un riparo in calcestruzzo. «Ci protegge dalla pioggia», racconta Kamate, ivoriano a Lodi da due anni e che sotto il ponte ha trascorso anche l’inverno. «Per resistere al freddo mi vesto pesante e arrivo a usare tre piumoni». Lungo la passerella — 150 metri di lunghezza e meno di due in larghezza a un chilometro da Lodi — i senzatetto hanno disposto con ordine 30-35 materassi. C’è anche chi dorme in tenda. Le condizioni sono terribili: sporcizia, biciclette smontate e usate come attaccapanni, e poi le bici vere, unico mezzo di trasporto che li collega con il resto della città. I panni sono stesi sul corrimano, pezzi di mobili da ufficio servono a dividere il proprio spazio da quello del vicino di branda. C’è chi ha un set di padelle e con poche braci riesce a cucinarsi la cena. Ma i più vanno alla mensa della Caritas che offre loro tre pasti al giorno. Sono quasi tutti regolari e con permesso di soggiorno, ma al di là di quello non hanno altro: soldi, lavoro, casa. Come Djbril, ragazzo maliano che per sei mesi ha lavorato per una cooperativa di pulizie al cimitero di Casalpusterlengo, poi la coop ha perso l’appalto e lui è finito sotto il ponte: «Ho dieci anni di esperienza come meccanico ma non riesco a trovare lavoro. E non posso permettermi neanche una stanza. Ma voglio restare in Italia».
Cissokho e Loki invece, entrambi del Mali, non potevano più stare nei dormitori di Milano e sono arrivati a Lodi. Con il passaparola hanno scoperto che c’era posto sotto il ponte. «La cosa più grave — spiega Davide Adoni, operatore della Caritas di Lodi, unica organizzazione a mantenere un canale con i disperati della passerella — è che nonostante siano tutti immigrati regolari, nessuno ha una residenza anagrafica. E di conseguenza non possono accedere ad alcun servizio, nemmeno ottenere una sim card per chiamare i genitori nel loro paese. È un popolo senza identità». La Caritas lodigiana offre servizi come il centro diurno, la lavanderia, tutoraggio sui curriculum, taglio capelli, laboratori e perfino partite di calcetto. Due i dormitori, realizzati in spazi comunali, ma i posti sono inferiori alle richieste. La mensa dei poveri serve 25mila pasti all’anno e nel 2017 ha accolto 465 persone. Fino a dicembre un’educativa di strada permetteva agli operatori di parlare e all’occorrenza soccorrere gli emarginati del ponte, ma il progetto non è stato ancora confermato dall’ufficio di piano.
«Motivo per cui — è l’appello di don Andrea Tenca, direttore della Caritas diocesana — è necessario far ripartire il tavolo di confronto istituzionale che fino all’anno scorso era attivo. Queste persone non possono essere abbandonate».
La Caritas
«I profughi sono tutti regolari ma nessuno di loro ha una residenza anagrafica»