«Fidelio», ferita chiusa Sul podio Whun Chung
Cast rinnovato, Chung sul podio Liliana Segre: «Lezione attuale ora che altre porte si chiudono»
«La musica è fatta per tutti, come il sole e l’aria... Là dove la si nega a degli esseri umani solo perché appartengono a un’altra stirpe o a un’altra religione, io non posso collaborare, né come cristiano né come artista». Il telegramma spedito nel dicembre 1938 alla Scala da Erich Kleiber non lascia adito a dubbi. Il sommo direttore d’orchestra austriaco, già scritturato per dirigere nel marzo del ‘39 il «Fidelio» di Beethoven, saputo del licenziamento del direttore del coro Vittorio Veneziani perché «di razza ebraica», rinuncia all’incarico. In un teatro dove gli artisti vengono discriminati per la loro origine, dove agli spettatori ebrei viene chiesto di restituire l’abbonamento, lui non ci metterà mai piede. Del resto questa è l’aria che tira in Italia. Le leggi razziali fasciste promulgate nell’autunno del ‘38 parlano chiaro: gli ebrei non hanno più diritti. Una pagina vergognosa della storia a cui aderisce anche la Scala. Che oggi, a 80 anni da quella barbarie, rende omaggio al gesto coraggioso di Kleiber dedicando a lui e al maestro Veneziani un nuovo «Fidelio», diretto da Myung-Whun Chung, spettacolo ideato da Deborah Warner per l’apertura di stagione 2014, Barenboim sul podio. «Fidelio è un inno alla libertà, all’amore coniugale, a una spiritualità capace di innalzare l’anima di chi ascolta», assicura Chung. «Beethoven ha il merito di mettere la sua musica sublime al servizio dell’umanità, di mandare attraverso quest’opera un messaggio deciso, come fa stavolta anche la Scala».
Particolarmente toccata da quest’opera si dice anche Liliana Segre, senatrice a vita, sopravvissuta a Auschwitz, presente all’incontro alla Scala insieme con Roberto Cenati, presidente dell’Anpi di Milano e Liliana Picciotto del Centro di documentazione ebraica contemporanea. «Ogni volta che assisto a Fidelio fatico ad abbinare il piacere della musica con l’orrore di quel che accade in scena. E stavolta l’emozione è anche più grande pensando a quello che deve aver provato il maestro Veneziani a trovarsi davanti la porta chiusa della Scala. Conosco quella sensazione. Ho 87 anni, ma dentro di me c’è sempre la bambina che si vista chiudere in faccia la porta della sua scuola. Per la sola ragione di essere nata. Perché sei l’“altra”, l’ebrea. Oggi per me una fierezza, ma allora un marchio pericoloso, la garanzia di venir escluso, deportato. Nell’ indiffer enza enell’ acqui e scienza di tutti. Per questo la scelta di Kleiber, che da non ebreo si schierò con noi, è interessante. Lui non era l’“altro” ma volle essere l’altro». Lezione quanto mai attuale ora che altre porte si chiudono davanti a persone respinte perché straniere. «La vicenda dell’Aquarius — conclude Segre — ha suscitato in me due reazioni: il dispiacere per un’Unione Europea troppo assente su questo dramma, e l’impulso di salire anch’io su quella nave».