Monza
Le tele rubate di Renoir e Rubens Sgominata la banda del finto rabbino che organizzò il colpo da 26 milioni
MONZA La messinscena prevedeva compiti e ruoli ben definiti. Chi ha dato supporto logistico, chi ha messo a disposizione i propri uffici spacciandoli per sede consolare, chi ha trovato la «preda». Ma il protagonista assoluto è lui, il sedicente «diplomatico rabbino» Samuel Abraham Lewy Graham, «passaporto israeliano».
Al secolo Nenad Jovanovic, croato di Trezzano sul Naviglio con precedenti (già affidato ai servizi sociali), considerato autore materiale del furto della «Sacra Famiglia», olio su tavola del fiammingo Peter Paul Rubens, e di un’altra tela di immenso valore, «Le fanciulle sul prato», quadro di Pierre Auguste Renoir. Ora in carcere, in virtù di un’ordinanza del gip Silvia Pansini che ha raggiunto anche i fratelli Rocco e Francesco C., 52 e 49 anni, di origine calabrese, e che ha disposto gli arresti domiciliari nei confronti di G.C. e CG., padre e figlio di 62 e 32 anni, residenti tra la provincia pavese e la Brianza.
Furto agggravato dalla «fraudolenza» è l’accusa ipotizzata dalla procura, nell’ambito di un’inchiesta che vede coinvolti altre due uomini, non raggiunti da alcuna misura restrittiva, ritenuti fiancheggiatori del gruppo che, ad aprile 2017, avrebbe sottratto le opere ad un mercante d’arte titolare di due gallerie, una in Sardegna e l’altra a Fulham Road (Londra), al culmine di una «sceneggiata» degna di un film di Totò, che ha avuto in una villetta residenziale di Monza il suo gran finale. Inchiesta che prosegue con un unico scopo: recuperare i quadri, finiti chissà dove.
Tra presunti ladri e vittime si sarebbe dovuta concludere una vendita da 26 milioni di euro per i due dipinti, secondo quanto ricostruito dai carabinieri del Nucleo Tutela patrimonio culturale di Monza agli ordini del maggiore Francesco Provenza. Sarebbe stato proprio uno dei due personaggi indagati a piede libero, nel marzo 2017, a mettere in contatto il gallerista (che a sua volta era stato incaricato di vendere il Renoir da una sua collega piemontese) con il fantomatico israeliano interessato all’acquisto, introducendo così la figura del «rabbino» intenzionato «a comprare diamanti e quadri». Interesse confermato dopo la prima telefonata, a cui segue un primo incontro allo Sporting Club di Milano 2, per definire i contorni dell’affare.
Il prezzo di vendita, al termine di quel colloquio, viene fissato alla cifra di 26 milioni di euro (i galleristi erano intenzionati a non scendere sotto i 9) ed è il «rabbino» stesso a stabilire il luogo per concludere il contratto: la sede del consolato onorario albanese in Brianza.
Una villetta a due piani nel quartiere San Biagio, in via Quintino Sella, strada a ridosso del centro di Monza, dove effettivamente è indicata la sede di rappresentanza albanese. Ma solo al primo piano. Al pian terreno, almeno sino all’anno scorso, c’erano i locali di un’agenzia immobiliare gestita dai due fratelli calabresi, che hanno messo a disposizione i locali. Al 12 aprile le parti hanno perfezionato i dettagli, dandosi appuntamento una settimana dopo per la stipula definitiva.
La scena si sposta dunque al 20 aprile, nello stesso luogo. A questo punto le versioni del gallerista e delle persone da cui si era fatto accompagnare per sicurezza (altri tre conoscenti e il nipote), divergono su qualche punto, ma il finale resta immutato. Il venditore si presenta con i due dipinti, chiusi in altrettante casse di legno. Come controparte trovano il «rabbino» e un personaggio non identificato, tale «David».
Con la scusa di dover testare l’autenticità delle opere, secondo la denuncia, i malviventi avrebbero fatto in modo di impossessarsi dei quadri (secondo la versione del gallerista sardo, approfittando del suo unico momento di distrazione), che erano stati appoggiati in una stanza diversa da quella dedicata alla firma del contratto.
Le opere finiscono così in un autocarro Puegeot, e il «rabbino», da rappresentante diplomatico, si tramuta in pilota da film d’azione. Col telecomando apre i cancelli di ingresso della residenza, ed esce veloce come una scheggia, seminando gli accompagnatori del venditore, che provano a inseguirlo senza successo.
La messinscena Nenad Jovanovic aveva finto di essere un religioso interessato all’acquisto dei dipinti