I doppi giochi fatali del prigioniero X
Viveva in città e lavorava in un’azienda sotto copertura Misteri, doppi giochi e lo strano suicidio di uno 007 del Mossad
Australiano emigrato in Israele, l’agente del Mossad Benjamin Zygier arriva a Milano nel 2005. Assunto da una azienda che ha sede in centro, viaggia spesso, anche in Iran, per tenere d’occhio i piani di riarmo. La sua storia, piena di misteri, si conclude con uno strano suicidio.
Milano è un grande bazar attraversato da molti compratori di alta tecnologia. Un punto di incontro cruciale, solo in apparenza tranquillo. Un’arena dove il Mossad invia, nel 2005, un suo agente.
Benjamin Zygier arriva con una buona copertura. Nato in Australia nel 1976, è emigrato in Israele dove è stato reclutato dal servizio segreto, passaggio che gli ha permesso comunque di mantenere il doppio passaporto, utile per muoversi senza troppi sospetti. Infatti lo 007 utilizza quello australiano per chiedere il visto al consolato italiano di Melbourne. Lo ottiene senza problemi, come ottiene un posto in una società con eleganti uffici nel capoluogo lombardo e stabilimento nell’hinterland, compagnia che produce materiale per il settore comunicazioni. A completare il suo profilo, l’appartamento in un bel palazzo vicino alla stazione Centrale. Da qui esce ogni mattina, puntuale, meticoloso, per mimetizzarsi nella «folla» degli affari.
Per oltre un anno Zygier si rivela un ottimo dipendente capace di sbrigare il suo lavoro entro l’ora di pranzo, a volte prima. La sua posizione gli consente di viaggiare, dall’Europa al Medio Oriente, Iran compreso. Da israeliano non potrebbe. In questo modo crea una rete di contatti, seguendo una missione precisa. L’agente partecipa ad un’operazione per tenere d’occhio gli iraniani, le loro acquisizioni in campo militare e magari di cedergli del materiale fallato. È un piano ideato dal Mossad, deciso a ostacolare il programma di riarmo dei mullah. Azione ad ampio raggio che coinvolge gli Usa che, ben presto, lanceranno, insieme agli israeliani, l’attacco con il virus Stuxnet, capace di infettare le centrifughe nucleari degli avversari. Ognuno assesta colpi, sperando di non farsi scoprire. E la scelta della piazza lombarda è perfetta in quanto esistono dozzine di imprese, di ogni taglia, in grado di soddisfare le richieste. Vendono materiale legittimo, ma che in qualche caso può essere riconvertito per scopi bellici, dai motoscafi veloci agli apparati industriali. Si trattano forniture sotto gli occhi di molte intelligence, dunque interessi, acrobazie, pedinamenti, intrusioni in uffici in un raggio che dal centro di Milano si spinge oltre la tangenziale.
Zygier è in mezzo a questo mare tempestoso. Per molti mesi nuota a suo agio, poi — secondo le testimonianze — qualcosa si spezza, dicono che litighi con i clienti, la sua professionalità evapora. Il direttore della ditta italiana confiderà in seguito ad un reporter australiano che Benjamin, alla fine del 2006, aveva perso motivazione: «Per questo siamo costretti a lasciarlo andare via».
L’insoddisfazione — vera o di facciata — rimbalza anche al comando dell’Istituto, il Mossad. Lo richiamano in patria, lo spostano nell’unità che fa analisi, la Tzomet. Zygier continua nella sua deriva. Nel 2009 è in Australia, per un lungo congedo, frequenta un corso all’università e vede spesso alcuni cittadini mediorientali, contatti che non passano inosservati. All’inizio del 2010 lo convocano in Israele, il 29 gennaio lo arrestano in gran segreto. Trapelano informazioni vaghe perché esiste il tappo della censura: diventa il «prigioniero X», rinchiuso in totale isolamento nella prigione a Ramla. Vi rimarrà fino al 15 dicembre dello stesso anno, quando, dopo avere ricevuto la visita della moglie, si toglie la vita nonostante la sorveglianza stretta. Un suicidio che pone altri interrogativi.
Neppure la morte rompe il muro di silenzio e la storia emergerà nel 2013 per merito di un giornalista australiano della rete Abc messo sulle sue tracce, già tre anni prima, da una buona imbeccata dei servizi australiani. Intrigo nell’intrigo ricostruito dal reporter Jason Koutsoukis.
Girano molte ipotesi sul perché Zygier sia stato messo in galera. Nel 2008 avrebbe passato agli iraniani dati sulla sua azione, forse ha cercato di reclutare un avversario ma è stato quest’ultimo a giocarlo portandolo dalla sua parte. Un paio di spie del Mossad in Libano sono smascherate e chissà quali altre cose può aver raccontato, compresi i dettagli sulla sua esperienza milanese. A Teheran non hanno certo gradito, l’Italia per loro è un interlocutore con ottimi rapporti economici. Ora scoprono che il nemico israeliano ha organizzato un trappolone partendo da Milano.
Il seguito è nebbia. Molte tracce «italiane» sono cancellate. Immaginiamo un Mister Wolf –— simile a quello del film Pulp Fiction — che «risolve problemi» e «pulisce» la scena. Emerge l’esistenza di un «prigioniero X 2», un altro che commerciava in Medio Oriente e probabilmente ha intrapreso sentieri sbagliati. Torna alla memoria la vicenda di un uomo d’affari che lascia documenti e bagagli in un albergo della nostra città, vicino alla stazione, molto tempo fa. Fuga sentimentale, dissero, anche se la sua professione lo portava spesso nei paesi arabi. Da queste storie emerge una Milano diversa, a volte sappiamo l’inizio e non la fine. Su queste storie cala spesso una cappa pesante come la lapide sotto la quale è sepolto Zygier. Sulla pietra scura i familiari hanno scritto: «Ci manchi tanto, più di quanto possiamo dire». Parole che sono più di una preghiera.
Attività occulte
Aveva la missione di vendere tecnologia fallata all’Iran. Poi qualcosa si è inceppato