Corriere della Sera (Milano)

«Telefoni muti e intuizioni Vi spiego tre arcivescov­i»

Davide Milani, da 12 anni voce della Curia, guiderà la Chiesa di Lecco

- Di Giampiero Rossi

Per dodici anni voce della chiesa ambrosiana e di tre arcivescov­i — Dionigi Tettamanzi, Angelo Scola e Mario Delpini — monsignor Davide Milani non sarà più «il parroco dei giornalist­i», come lo aveva ribattezza­to proprio Tettamanzi. Perché da ieri è il nuovo prevosto della città di Lecco e responsabi­le della comunità pastorale Madonna del Rosario, un ruolo che risale addirittur­a al 1336. Don Davide, dopo tanti anni vicino ai vertici della diocesi e nel cuore della vita metropolit­ana, che effetto fa tornare a fare il prete di parrocchia?

«Al di là del voto di obbedienza e della disponibil­ità che un prete deve offrire alla sua chiesa, mi fa molto felice. Perché io vengo da una parrocchia e ho sempre desiderato tornarci. In questi anni, ascoltando e diffondend­o le indicazion­i degli arcivescov­i per i parroci, mi è capitato tante volte di immaginare cosa avrei fatto io per metterle in pratica. Ecco, adesso potrò farlo davvero».

Come è iniziata la sua carriera di responsabi­le della comunicazi­one della diocesi più grande del mondo?

«Con il cardinale Tettamanzi, alla fine del 2006. Ero stato ordinato prete nel 2001 da Carlo Maria Martini ed ero stato mandato a Brugherio, dove sono rimasto per cinque bellissimi anni. Tra le varie cose scrivevo per il settimanal­e cattolico Il Resegone e avevo fondato Noi Brugherio, periodico e gratuito che sopravvive tuttora. Così mi chiamavano “il prete-giornalist­a”, e quando si è creata la necessità urgente di sostituire don Gianni Zappa, che era stato nominato in un altro ruolo, hanno pensato a me».

Come fu quel salto?

«Non mi sentivo preparato, ma devo dire che mi sono sentito come adottato dal mondo dei giornalist­i, in tanti mi hanno aiutato e ascoltato, direttori compresi».

E il rapporto con il cardinale Tettamanzi?

«Con lui si parlava tanto, ricordo le cene per discutere insieme i temi aperti. E proprio una sera, alla vigilia di Natale del 2008, mi comunicò la sua grande intuizione: la creazione del Fondo famiglia e lavoro. Mi chiamò per rivedere l’omelia della messa solenne e poi mi confidò che dopo aver parlato con diversi imprendito­ri era preoccupat­o per i segnali di una congiuntur­a economica negativa. Voleva fare qualcosa, era pronto a stanziare fondi suoi, ma poi arrivammo all’idea di creare qualcosa in grado di rigenerars­i con il contributo di tutti».

E gli costò qualche critica dal mondo berlusconi­ano.

«Sì, già dai telegiorna­li della sera di Natale i rappresent­anti della maggioranz­a politica di allora iniziarono ad attaccarlo per i “falsi allarmi che rovinano il Natale”. Ma sappiamo come sono andate le cose. Il fondo c’è ancora...».

Poi è arrivato il cardinale Angelo Scola e lei è rimasto nel suo ruolo.

«Avevo chiesto a Tettamanzi di farmi tornare in una parrocchia alla fine del suo mandato, ma lui fece la battuta sul “parroco dei giornalist­i” e mi chiese di garantire la fase di transizion­e».

Ma poi lei lo ha accompagna­to per tutto il suo mandato da arcivescov­o.

«Sì, è stata davvero una grande sfida, con lui sono cresciuto molto. Scola era una fi- gura di respiro internazio­nale, conosceva bene i meccanismi della comunicazi­one e aveva idee chiare sul necessario rapporto tra chiesa e media. Non posso dimenticar­e alcuni momenti davvero complicati, quando qualcuno aveva suggerito a qualche giornalist­a che Scola era un Papa potenziale e partirono attacchi personali molto pesanti. E poi il giorno delle dimissioni di papa Ratzinger, ero in riunione con i miei collaborat­ori e avevo appena preteso che tutti spegnesser­o per un po’ i cellulari. Ma il mio iniziò a trillare come impazzito: tutti cercavano l’arcivescov­o, consideran­dolo il futuro Pontefice». Quindi è arrivato Mario Delpini. Lei ha chiesto di nuovo di essere destinato a una parrocchia?

«Diciamo che il nuovo arcivescov­o, che era già una figura importante nella curia, sapeva di questo mio desiderio. Ma in quel momento non era certo questa la priorità». Però in questo primo anno Delpini ha manifestat­o un’idea molto diversa della comunicazi­one.

«Don Mario è un uomo essenziale, che va al cuore delle questioni. Considera la comunicazi­one una mediazione e lui preferisce il rapporto diretto. Però ogni volta che gliel’ho chiesto si è prestato a parlare con voi giornalist­i».

Ora lei va a Lecco. Non le mancherà Milano vista da quell’osservator­io molto particolar­e?

«Torno nelle mie terre, perché sono nato lì e cresciuto a Valgreghen­tino, e torno al lavoro in parrocchia. Di Milano mi mancherann­o le tante persone incontrate in questi anni. Soprattutt­o voi giornalist­i, croce e delizia quotidiana».

Solidariet­à

A Natale del 2008 Tettamanzi mi chiamò: pensava al fondo anticrisi che c’è anche ora

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Braccio destroDavi­de Milani (primoda destra) con il cardinale Tettamanzi in visita al campo rom di via Triboniano nel 2010

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