In mezzo al corteo tra «poli», etero e bisex «Qui ognuno è libero di scegliere con il cuore» Tanti giovanissimi e gli sponsor occupano ogni spazio
Ti senti giudicata, per il tuo comportamento sessuale? «No. Milano è una città libera, tanti passi avanti sono stati fatti negli ultimi anni». Risponde sicura Gaia Cremascolin, 30 anni. Si definisce «poliamorosa» e al Pride si è presentata con due fidanzati. A sua volta uno dei due ha un compagno. E varie altre relazioni. Tutti presenti, al Pride più grande mai visto a Milano. Duecentocinquantamila persone da tutta la Lombardia tra bandiere arcobaleno, palloncini, mise estrose. In migliaia a rappresentare la comunità Lgbt, gli altri definiti allies: eterosessuali alleati dei diritti civili. «Ognuno sceglie come si vuole esprimere», continua Gaia. E uno dei due fidanzati, Paolo Guiducci: «I sentimenti sono fluidi, ma profondi. Si vive nel presente». Il gruppo si confonde nella folla. Compaiono due bambini per mano a Fabio Ghirelli, pater familias: «Il messaggio è chiaro anche ai piccoli: Milano è contro ogni tipo di discriminazione». Loghi da tutte le parti, multinazionali che gareggiano per comparire come sponsor. E alla fine il messaggio che passa, almeno in superficie, è scritto su molti cartelloni: «Gay è cool».
L’allegria, in qualche angolo, si smussa. Una ventina di persone da Sesto San Giovanni protesta: «Il nostro comune si è dissociato dalla Rete contro la discriminazione (Ready) e ha appena chiuso l’unico sportello di supporto Lgbt della città», denuncia Enzo Nova, pensionato. Attacca anche l’europarlamentare Daniele Viotti, promotore delle luci arcobaleno sul Pirellone: «Milano è la capitale italiana dei diritti civili. E la Regione non dà il patrocinio al Pride? Offende noi, e le nostre famiglie». Per la prima volta sfilano in arcobaleno quaranta consulenti di Bain&Co che hanno fondato l’associazione intraziendale per i diritti Lgbt.
Rispetto agli altri anni, colpisce la presenza massiccia di adolescenti. «Ci siamo conosciute via Twitter, è la mia prima ragazza», dice Aurora, solo 13 anni. Intorno a lei tantissimi coetanei, tutti a coppie. Quasi viene da chiedersi se sia scelta consapevole, orientamento sessuale, o piuttosto un «comportamento», una curiosità, se non una moda, una esperienza omosessuale che «fa appartenere a un gruppo», come riconoscono loro stesse. C’è un po’ di leggerezza, forse ribellione, forse insicurezza. Una coppia di ragazzine incede per mano. Chiara e Isabel, 13 e 15 anni, abitano nell’hinterland, stanno insieme da più di un anno. I genitori non sanno nulla, neanche che ieri erano al Pride. Giulia, 16 anni, studentessa di Scienze Umane, si definisce bisex: «Da poco ho fatto coming out con mia mamma. Mi ha abbracciato. L’aveva capito», racconta. E il papà? «Lui è rimasto zitto», abbassa lo sguardo. Giulio, 17 anni, è con il compagno. «I miei hanno provato a farmi ‘cambiare’, volevano i nipotini — si sforza di sdrammatizzare —. Ora si sono rassegnati». Non è facile. Ma duecentocinquantamila persone in piazza incoraggiano la loro libera scelta.