Il museo-gioiello teme la vendita e cerca mecenati
Il Comune cerca fondi e spera nella valorizzazione Tasca: «Acquirenti illuminati raddoppierebbero gli spazi per la collezione d’arte donata dai coniugi»
Cercasi mecenate per il raddoppio della casa museo. Al 15 di via Jan, in realtà, di spazio libero ce n’è. Forse non abbastanza per ospitare le tante opere donate dai coniugi Boschi e Di Stefano (2.000 in tutto), custodite in gran parte nei depositi di Palazzo Reale, ma senza dubbio utile ad ampliare l’attuale esposizione. Da tre anni, infatti, s’è liberato l’intero terzo piano del palazzo costruito alla fine degli anni Venti del secolo scorso, su progetto dell’architetto Piero Portaluppi. Anche quello fu lasciato in eredità al Comune dai coniugi milanesi insieme all’intera palazzina e alla loro imponente collezione di opere d’arte. Per anni però, mentre al secondo piano veniva allestita e poi, dal 2003, apriva al pubblico la casa museo, il terzo piano fu utilizzato come alloggio di servizio per un alto funzionario dell’amministrazione e, alla sua morte, inserito tra i beni da dismettere per fare cassa. Fino al 31 luglio, il Municipio 3, d’accordo con la Fondazione Boschi-Di Stefano e il Touring Club che garantisce l’apertura al pubblico della casa museo con i propri volontari, ha ottenuto di riaprire e utilizzare eccezionalmente l’intero terzo piano per un’esposizione fotografica. Ma il nodo della vendita dovrà presto essere sciolto. L’assessore al Bilancio, Roberto Tasca, si è recato di recente a visitare il bel palazzo di via Jan e il museo che, com’è oggi, può esporre non più di trecento opere. E spiega al Corriere di non aver «spinto l’acceleratore per la vendita finora» ma che l’appartamento del terzo piano «era già stato inserito nel piano di dismissione nel 2014. Al mio arrivo a Palazzo Marino — aggiunge Tasca — ho fatto fare una valutazione e ora sappiamo che vale 900 mila euro. Una cifra importante. Non possiamo, al di là della passione per l’arte, tra- scurare il problema del bilancio. Il terzo piano andrà messo all’asta. La speranza è trovare un mecenate che partecipi alla gara, riesca ad acquistarlo e quindi lo possa destinare alle attività della fondazione». I «gioielli della corona», aggiunge l’assessore, Milano li ha già venduti tutti. E «per portare fino in fondo il piano di investimenti sulla città che il sindaco si prefigge — conclude — occorre prima fare cassa». Antonio Boschi e Marieda Di Stefano furono collezionisti appassionati. Lei fu anche ceramista e al piano ammezzato della palazzina trovò lo spazio per il suo studio che poi divenne una scuola per ceramisti. A realizzare l’edificio di cinque piani nel nascente quartiere della nuova borghesia appena fuori dai Bastioni, era stato il padre, un costruttore edile, che aveva destinato un piano ad ognuno dei suoi cinque figli. E si deve a Philippe Daverio, quando fu assessore alla Cultura nella giunta Formentini, la concretizzazione delle volontà della coppia che, indicando come erede dei beni il Comune, voleva aprire la propria abitazione ai milanesi. Da quando la casa museo ha aperto i battenti c’è stato un progressivo incremento dei visitatori, precisa Gianmario Maggi, che coordina gli 850 volontari del Touring attivi in città. Sono oltre 30 mila l’anno. Gli spazi espositivi sono undici e qui sono in mostra opere che i coniugi acquistavano forse anche per aiutare artisti giovani sconosciuti. Dal loro salotto passavano artisti come Sironi, Martini, Savinio, Fontana. All’ingresso si trovano i ritratti dedicati ai coniugi Boschi e le ceramiche della stessa Marieda, quindi attraverso un corridoio con opere di Severini e di Boccioni si raggiunge la «sala del Novecento italiano» con opere di Funi, Marussig, Tozzi, Carrà e Casorati.