Corriere della Sera (Milano)

Non mi interessa fare il finto giovane

Caparezza: «Se parlassi in gergo sarei ridicolo»

- Raffaella Oliva

Venti sold out nei palazzetti tra lo scorso novembre e febbraio, per un totale di 9 mila chilometri in giro per l’Italia e 125 mila biglietti venduti. Ma non è finita: forte del successo del suo ultimo album «Prisoner 709», certificat­o Disco d’Oro, Caparezza è di nuovo in tour e, a distanza di 7 mesi dal tutto esaurito al Forum, stasera sarà all’Ippodromo per il «Milano Summer Festival». Un concerto che oltre a hit come «Fuori dal tunnel» e «Vengo dalla luna», comprender­à i singoli più recenti, da «Ti fa stare bene» a «Larsen», brano sull’acufene, disturbo uditivo perlopiù cronico che provoca un costante fischio nelle orecchie, diagnostic­ato al rapper di Molfetta nel 2015.

«Ormai fa parte della mia vita», dice Michele Salvemini alias Caparezza. «Prima pensavo che il mio destino fosse la musica, ora vado avanti, ma ho capito che non si può dare nulla per scontato e che non esiste la predestina­zione, esicerti solo accadiment­i che bisogna accettare». Uscito nel settembre 2017, «Prisoner 709» nasce da questa consapevol­ezza e da una riflession­e sui più diversi dilemmi esistenzia­li. Per esempio: ragione o religione? «Il mio rapporto con la religione è burrascoso da sempre», osserva Caparezza. «Non ho mai compreso come mai ai bambini si vieta di vedere i film horror e poi li si porta in luoghi di culto con immagini ai limiti dello splatter. Qual è la differenza tra “Profondo rosso” e una statua che gronda sangue? Da piccolo non lo capivo. Mi dicevano che quel signore insanguina­to in croce era Gesù, il figlio di Dio. Ma un bambino che ne sa?». E confida: «Quell’iconografi­a mi ha devastato l’infanzia, e mi ha provocato varie paure: quella del buio, quella dei fantasmi… Grazie al cielo sono riuscito a scrollarme­le di dosso, ma mi ci è voluta un bel po’ di autoanalis­i».

Per il 44enne pugliese i con- nella nostra città hanno un valore speciale, perché è qui che ha vissuto per 7 anni, dal 1992 al 1999. All’epoca frequentav­a l’Accademia di Comunicazi­one, era interessat­o al campo della pubblicità. «A Milano c’era un fermento culturale incredibil­e e si respirava una forte tensione politica. A scuola ero circondato da studenti appassiona­ti, c’era chi amava Warhol, chi il jazz. Ricordo come un sogno un live di Björk al City Square, era il tour di “Debut”. E poi i centri sociali, la Fiera di Sinigaglia, dove andavo a cercare i cd di musica alternativ­a. Un altro mondo rispetto a quello attuale». Risale a quegli anni l’esordio come cantautore pop con lo pseudonimo Mikimix. Poi, nel 2000, nacque il Caparezza dalle rime taglienti che conosciamo oggi. «È passato tanto tempo, adesso non posso più raccontare il mondo dei più giovani», ammette il rapper. «Un artista deve restare coestono rente con la propria età: se facessi finta di avere 20 anni e parlassi in slang come un adolescent­e risulterei patetico». Gli chiediamo se si sente il portavoce di una generazion­e o di un pensiero politico. «Mi considero un uomo di estrema sinistra, sarà che sono progressis­ta e figlio di un operaio. Ma no, non rappresent­o nessuno se non me stesso e le mie idee».

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Rapper Caparezza, 44 anni, di Molfetta. Per sette anni ha vissuto a Milano: «C’era un fermento culturale incredibil­e», dice l’artista

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