Corriere della Sera (Milano)

IL LAVORO E LA DIFFERENZA FRA VIVERE E SOPRAVVIVE­RE

- Gzagato@hotmail.com gschiavi@rcs.it

Caro Schiavi, perdonami l’intrusione di cui mi vergogno, ma questa lettera è come un’ultima spiaggia: a 59 anni, purtroppo, la ricerca di un impiego sembra impresa impossibil­e. Difficile collocarsi come giornalist­a dopo trent’anni passati nelle redazioni, e vano anche il tentativo di offrirsi come autista, custode o magazzinie­re. Oggi lavo auto, alle spalle dell’Idroscalo, in cambio di quattro euro all’ora. L’ho fatto per portare a casa — con otto ore di fatica davvero pesante e in nero — trentadue euro ovvero contribuir­e alla spesa che la moglie fa al supermerca­to.

Non una scelta, sia chiaro. Ma un obbligo quando ti ritrovi senza un lavoro e con tanto di curriculum che, dicono, è davvero ricco e di esperienza. E mentre lavi le macchine — sperando che non si fermi mai un ex collega o un conoscente — pensi e ripensi a quanti dicono che «con un cv come il suo non si può fare l’autista, il custode o il magazzinie­re». Già, non si potrebbe ma, oggi, ho bisogno di un lavoro: di poter mettere insieme la colazione con la cena perché è difficile accettare che un figlio smetta l’università per aiutare con un lavoro e uno stipendio a far sopravvive­re la propria famiglia. Non c’è altro da aggiungere se non che dopo cinque giorni a lavare auto su auto sono finito al pronto soccorso per un piccolo infortunio alla mano. Niente di grave: ed eccomi qui a chiedere un lavoro come autista, custode o magazzinie­re o qualunque altra soluzione che consenta di evitare la vergogna di non avere in tasca un centesimo per sé e i propri cari.

Caro Zagato, la tua non è un’intrusione, è la coraggiosa autodenunc­ia di una persona che non vuole più nascondere un disagio, anzi, una condizione che ti accomuna ai tanti che oggi non vivono, ma sopravvivo­no, erodendo a poco a poco la loro provvista di speranza. Capisco il disagio e il senso di vergogna, il doversi umiliare e la svalutazio­ne di ogni patrimonio culturale o lavorativo acquisito: dopo i cinquant’anni è quasi impossibil­e trovare qualcuno disposto a darti una mano. Mi chiedo a cosa servano le agenzie del reimpiego, a questo punto. O gli uffici delle risorse umane. C’è un capitale disperso, fatto da persone disposte a reinventar­si un pezzo di vita, che il sistema fatica a raccoglier­e. Quando lo fa è un miracolo. Noi possiamo fare poco per il lavoro. Ma non vogliamo smettere di sperare.

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