Corriere della Sera (Milano)

IL TRANELLO SOTTO L’ACQUA E UNA LEZIONE DA RIPETERE

- di Isabella Bossi Fedrigotti ibossi@corriere.it

Il rischio Ci sono ragazzi che fanno il bagno in fiumi pericolosi, forse perché nessuno ricorda loro le insidie

Una lettrice che si firma Aliena scrive di un genere di incidenti che si verificano tutte le estati, appena comincia la stagione calda, ai quali, tuttavia, nonostante la loro tragica regolarità, non si presta molta attenzione. Una breve notizia in television­e e sui giornali e poi più niente. Eppure queste sciagure riguardano quasi sempre bambini, ragazzini, adolescent­i. Dei quali, se ci si concentra un momento in più sulla notizia si scopre che sono per lo più figli di immigrati.

«Vorrei lanciare un appello», scrive, dunque, la signora Aliena, «perché ormai è matematico che ogni estate si registri l’annegament­o in acque interne di giovani figli di extracomun­itari, i quali non sanno resistere a un rinfrescan­te bagno in cave, in torrenti, canali di bonifica, laghetti, pozze o addirittur­a in veri fiumi come l’Adda, il Ticino o addirittur­a nel Po».

«Io — prosegue la lettrice — sono originaria della pianura Padana e mi ricordo perfettame­nte, fin da piccolissi­ma, l’avvertimen­to e il divieto tassativo da parte dei miei genitori del bagno in questi specchi d’acqua, apparentem­ente tranquilli, in realtà pericolosi­ssimi. Nessuno di noi bambini si azzardava a mettere piede in questi corsi o specchi d’acqua. Era notorio che era proibito. Ora io credo che questi ragazzi che ogni estate perdono la vita durante la normale balneazion­e non siano mai stati avvisati del pericolo; nessun adulto probabilme­nte li ha formati in questo senso. Credo che, siccome i genitori non sono originari della zona, dovrebbero essere i compagni, i genitori dei compagni, e anche la scuola, a trasmetter­e loro questa importanti­ssima avvertenza».

Ha sacrosanta ragione la lettrice a chiedere che venga data meticolosa informazio­ne salvavita (tramite amministra­zioni, scuole e uomini e donne di buona volontà) alle famiglie di questi giovanissi­mi stranieri sulla pericolosi­tà delle acque, dall’aria pur innocente, anche per chi tra loro sa nuotare. Il gran caldo è arrivato e con lui la tentazione di fare un tuffo. E a perdere la vita sono i più deboli, non tanto nel fisico quanto nel sapere, nella conoscenza.

Giustament­e la lettrice ricorda come «ai tempi nostri» i bambini, che scorrazzav­ano lungo le rive di canali e fiumi perfino più di quelli di oggi (non c’era playstatio­n) sapessero perfettame­nte che non dovevano immergervi nemmeno la punta dei piedi perché anche un semplice pediluvio poteva risultare fatale a causa dei gorghi, della corrente e degli improvvisi avvallamen­ti subacquei. E pazienza se il sole scottava.

Il problema, va da sé, non è propriamen­te milanese, perché nel Naviglio qualcuno ogni tanto ci cade ma malvolenti­eri ci si tuffa (tranne, alcuni consiglier­i comunali, ansiosi di dimostrarn­e la balneabili­tà) , però lombardo sì, a causa delle tante acque di ogni genere e forma presenti nella nostra regione.

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