IL TRANELLO SOTTO L’ACQUA E UNA LEZIONE DA RIPETERE
Il rischio Ci sono ragazzi che fanno il bagno in fiumi pericolosi, forse perché nessuno ricorda loro le insidie
Una lettrice che si firma Aliena scrive di un genere di incidenti che si verificano tutte le estati, appena comincia la stagione calda, ai quali, tuttavia, nonostante la loro tragica regolarità, non si presta molta attenzione. Una breve notizia in televisione e sui giornali e poi più niente. Eppure queste sciagure riguardano quasi sempre bambini, ragazzini, adolescenti. Dei quali, se ci si concentra un momento in più sulla notizia si scopre che sono per lo più figli di immigrati.
«Vorrei lanciare un appello», scrive, dunque, la signora Aliena, «perché ormai è matematico che ogni estate si registri l’annegamento in acque interne di giovani figli di extracomunitari, i quali non sanno resistere a un rinfrescante bagno in cave, in torrenti, canali di bonifica, laghetti, pozze o addirittura in veri fiumi come l’Adda, il Ticino o addirittura nel Po».
«Io — prosegue la lettrice — sono originaria della pianura Padana e mi ricordo perfettamente, fin da piccolissima, l’avvertimento e il divieto tassativo da parte dei miei genitori del bagno in questi specchi d’acqua, apparentemente tranquilli, in realtà pericolosissimi. Nessuno di noi bambini si azzardava a mettere piede in questi corsi o specchi d’acqua. Era notorio che era proibito. Ora io credo che questi ragazzi che ogni estate perdono la vita durante la normale balneazione non siano mai stati avvisati del pericolo; nessun adulto probabilmente li ha formati in questo senso. Credo che, siccome i genitori non sono originari della zona, dovrebbero essere i compagni, i genitori dei compagni, e anche la scuola, a trasmettere loro questa importantissima avvertenza».
Ha sacrosanta ragione la lettrice a chiedere che venga data meticolosa informazione salvavita (tramite amministrazioni, scuole e uomini e donne di buona volontà) alle famiglie di questi giovanissimi stranieri sulla pericolosità delle acque, dall’aria pur innocente, anche per chi tra loro sa nuotare. Il gran caldo è arrivato e con lui la tentazione di fare un tuffo. E a perdere la vita sono i più deboli, non tanto nel fisico quanto nel sapere, nella conoscenza.
Giustamente la lettrice ricorda come «ai tempi nostri» i bambini, che scorrazzavano lungo le rive di canali e fiumi perfino più di quelli di oggi (non c’era playstation) sapessero perfettamente che non dovevano immergervi nemmeno la punta dei piedi perché anche un semplice pediluvio poteva risultare fatale a causa dei gorghi, della corrente e degli improvvisi avvallamenti subacquei. E pazienza se il sole scottava.
Il problema, va da sé, non è propriamente milanese, perché nel Naviglio qualcuno ogni tanto ci cade ma malvolentieri ci si tuffa (tranne, alcuni consiglieri comunali, ansiosi di dimostrarne la balneabilità) , però lombardo sì, a causa delle tante acque di ogni genere e forma presenti nella nostra regione.