Un libro ricorda Fernanda Wittgens Partigiana e direttrice di Brera salvò i tesori d’arte durante la guerra
Un libro ricostruisce la figura della prima direttrice Fernanda Wittgens Dal salvataggio delle opere durante la guerra al rinnovamento del museo
Era ora che Milano la ricordasse, figura straordinaria per rettitudine morale, lucidità intellettuale, impegno civile. Parliamo di Fernanda Wittgens (Milano, 1903-1957), prima donna in Italia direttrice di una pinacoteca nazionale, quella di Brera: anima vitale del museo per anni, ne ha salvato il patrimonio e l’ha fatto rinascere dopo le devastazioni dell’agosto 1943. A 60 anni dalla morte, le rende merito la biografia «Sono Fernanda Wittgens. Una vita per Brera» (Skira), frutto della lunga ricerca di Giovanna Ginex (presentazione domani alle ore 17.30): un lavoro sincero e appassionato, in cui il ritratto della studiosa, della funzionaria, dell’antifascista si accompagna a quello della donna con il suo carico di emozioni.
«È stato quasi un dovere etico scrivere questo testo, far emergere questo personaggio», afferma Giovanna Ginex. «Fernanda Wittgens ha molto da raccontare: ai suoi tempi, per coprire un ruolo direttivo tradizionalmente maschile, ha dovuto sacrificare l’espressione pubblica degli affetti, la femminilità. Ma alle donne di oggi direbbe di affermarsi senza rinunciare a niente».
La storia di Fernanda inizia con un papà che la porta per musei e le insegna i valori morali e democratici. Dopo il Parini, la laurea in Storia dell’Arte con Paolo D’Ancona, l’insegnamento nei licei, approda a Brera nel 1928 conquistando la fiducia del direttore Ettore Modigliani: attiva e instancabile, è un’eccellente crowdfunder per finanziare restauri o acquisti. Nel 1935 vince il concorso d’ispettrice, ma perde Modigliani, allontanato per persecuzione razziale. E Fernanda qui si ribella. Quando nel ’40 l’Italia entra in guerra, all’enorme lavoro per mettere in salvo altrove i tesori d’arte milanesi affianca l’aiuto agli ebrei e ai perseguitati politici. Un’attività che le costa l’arresto e il carcere nell’estate del 1944: condannata a 4 anni, ne sconta solo uno grazie alla Liberazione.
Sempre più fiera e indipendente, torna appena possibile a Brera carica di nuove idee, non ultima la convinzione di una funzione morale e sociale dell’arte. Il suo imperativo categorico è ricostruire Brera, e ci riesce, per renderla un «museo vivente». «Facendo sua un’espressione della museologia anglosassone, la Wittgens allude a un museo al servizio del pubblico, della città, rifiutando il modello del museo come infilata di capolavori che stupiscono senza poterli capire», spiega Ginex. Strumento rivoluzionario d’innovazione è la didattica: aperture gratuite e serali per chi lavora, visite guidate per ragazzi e per disabili, formazione per insegnanti. «Lei stessa conduce i percorsi, con un metodo che parte dall’osservazione visiva, passa dal contesto storico e poi arriva al commento estetico». Anima pura e intelletto limpido, quando nel ’55 Ferruccio Parri le chiede di candidarsi rifiuta. Perché si può far politica nel senso più alto del termine qualsiasi lavoro si svolga, se far politica è ricercare il bene comune. L’esempio di Fernanda insegna.