Corriere della Sera (Milano)

Lo chef Luigi Taglienti nella Vigna di Leonardo

- di Marta Ghezzi

Un bravo chef non può essere magro. È come una carta d’identità sbagliata. Luigi Taglienti è qualcosa di più che magro, è asciutto, come le acciughine del suo mar Ligure (è nato a Savona), con zero carne addosso. Ride se glielo fai notare, ben consapevol­e che la stella Michelin, guadagnata nel 2017, gli consente tutto, lo protegge. Indaghiamo. Lei assaggia? Sta a dieta? Stupito si difende, parla di dna familiare. Poi, però, mentre racconta di sé, della boa dei quaranta anni sempre più vicina (classe ’79), emerge la storia della passione per il ciclismo, la bici da corsa, i tragitti in solitaria, da Milano pedalate velocissim­e sul Naviglio fino a Cassinetta di Lugagnano («il luogo dei miei inizi, con Ezio Santin all’Antica Osteria del Ponte»), e oltre, fino a Turbigo. E poi il ritorno in città, in via Watt («via energica, zona che sta emergendo»), dove c’è il suo ristorante Lume e dove vive («sopra il ristorante, mani e testa nello stesso luogo, non è mancanza di fantasia, è più facile quando attacchi alle otto di mattina e non smetti mai prima dell’una di notte»). «Ho sempre sognato Milano, fin da bambino», rivela. «La mia infanzia si è nutrita di mare e di verde dell’entroterra, ma la forte attrazione per il capoluogo lombardo, che sco- privo attraverso le pubblicità e il calcio di Marco Van Basten e del Milan è sempre stata lì, presente in un angolino. È una città con una forza inesauribi­le, forse l’unica in grado di stimolare e aiutare il talento». Neanche una briciola di lamentela? Fa finta di riflettere, ma è chiaro che non saprebbe cosa inventarsi.

La Vigna di Leonardo. «L’ho scoperta durante un evento, sono rimasto colpito, si respira la storia, l’arte, si riesce quasi a immaginare Leonardo da Vinci al lavoro. Ci torno sempre volentieri, ritempra e a volte ci scappa anche una visita a Santa Maria delle Grazie e al Cenacolo, che sono davanti», dice. E aggiunge: «Una storia dimenticat­a, riemersa e offerta alla città, scommetto che tanti milanesi non sanno di questo regalo di Ludovico il Moro al grande genio, dell’affetto con cui venne sempre curata..». Fuori, ammirando l’opera del Bramante, si lancia in un parallelis­mo. «La Vigna collega il passato al presente, da un certo punto di vista è quello che cerco di fare io con la mia cucina, in una commistion­e di equilibri fra i sapori di ieri e il gusto odierno».

Passeggian­do fa capolino un racconto su un recente viaggio in Messico, cene esclusive con lo chef nelle vesti di ambasciato­re gastronomi­co dell’Italia. Vengono fuori i suoi piatti famosi, i saltimbocc­a alla romana, la quintessen­za di un tocco genovese, e senza accorgersi torna a Milano. «Mi piace la sua velocità e perfino la competizio­ne che si respira insieme allo smog (eccola la nota dolente!)», dichiara. «Competizio­ne positiva, ti mette alla prova, ti spinge a ritagliart­i il tuo spicchio di attenzione». E ti detta il tempo. Taglienti guarda l’orologio e si congeda. Si allontana da Leonardo con in mente l’nduja calabra e l’anguria, simbolo estivo per eccellenza, «Il piccante e il dolce fresco, chissà, magari...».

Il giardino di Leonardo collega il passato al presente: un po’ quello che cerco di fare con i miei piatti, in una commistion­e di equilibri tra i sapori di ieri e il gusto odierno

Ho sempre sognato Milano, fin da bambino, grazie alla pubblicità e al Milan È una città con una forza inesauribi­le, forse l’unica in grado di stimolare e aiutare il talento

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(foto Furlan/LaPresse) Chef Luigi Taglienti alla vigna di Leonardo

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