La (nostra) sfida mondiale in Porta Nuova e via Melzo
Porta Nuova e via Melzo i covi dei tifosi. «Bleus più forti». «Noi guerrieri»
Sono dieci volte meno numerosi, «solo» 389 «contro» i 3.211 francesi residenti a Milano. Eppure la comunità croata è compatta e in vista della finalissima che si disputa oggi pomeriggio, si prepara a un tifo senza precedenti. Alle finestre delle case — in Barona e a Famagosta soprattutto — spuntano la bandiere a scacchi rossi e bianchi, la cremeria di via Sardegna espone in vetrina un grosso dolce con lo stemma, chiesto da una famiglia di clienti.
«La Francia sulla carta è più forte, ma noi in campo abbiamo già dato il benservito ai maestri del calcio inglesi, siamo guerrieri», si scalda Paolo Divjanovic, 48 anni, ingegnere. La comunità balcanica si è data appuntamento in un pub ai Bastioni di Porta Nuova, l’altro fronte poco lontano, alla Boulangerie l’Egalitè di via Melzo. «Pare Davide contro Golia, questa squadra fa paura — esclama la francese Cecilia Sonneck, 42 anni, madre di tre bambini —. È sport ma anche un confronto tra storie molto diverse: il nazionalismo di uno Stato a lungo dilaniato dalla contrapposizione tra le etnie che solo ora inizia ad aprirsi, in cerca di riscatto. E la Repubblica francese che ha 67 milioni di abitanti di tutte le origini geografiche, ha festeggiato la presa della Bastiglia e da sempre fa della libertà il suo valore-vessillo».
Rilancia Davide Corritore, presidente di Mm, mamma croata, in prima linea nella tifoseria da finalissima: «Il Mondiale è l’occasione storica per la Croazia, il pianeta guarderà per la prima volta questa piccola nazione, quattro milioni di abitanti nel Paese e tre milioni espatriati. Ha un passato da mettere alle spalle ma adesso fa parte dell’Unione europea, entro tre anni avrà l’euro come moneta. Entra nel futuro e nel mondo come Paese definitivamente integrato e aperto, comunque vada la partita». Corre, il Paese balcanico, anche dal punto di vista economico (più della Francia), ha investito in infrastrutture ed è «fortissimo in tutti gli sport di squadra», ricorda ancora Lea Pavlakovic, tecnico di laboratorio biomedico. Nel club soltanto due calciatori sono nati dopo la guerra, gli altri l’hanno conosciuta da bambini: «Negli ultimi giorni ho portato anche in ufficio il cappello a scacchi, raccontavo a tutti la storia di questo bellissimo Paese», continua Corritore.
Evo nas! (Eccoci, ci siamo anche noi!), il mantra del tifo croato, Allez les bleus! (Avanti i blu!), dall’altra parte. «Due perni come Perisic e Brozovic giocano nell’Inter, io tifo Croazia», dice ancora Richard Casnighi Phillion, che pure è per metà francese. «A proposito di nazionalismi, voi non sapete come sono i parigini — dice —. Ho vissuto tanti anni in Francia eppure non mi considerano uno di loro, solo perché ho la doppia cittadinanza. Se vincono si daranno un sacco di arie».
La città aspetta il match, le tifoserie prendono posto, i francesi paiono ovunque: Nicolas Massardo, buyer, per non perdere tempo si è già dipinto la bandiera blu bianca rossa sulla guancia, Mathieu Goradeski, fotografo, offrirà il buffet a schiere di amici «precettati in modo coatto», Emmanuelle Bouthors, 41 anni, manager, dà ai milanesi appuntamento in Boulangerie, Veronique Enderlin, storica dell’arte, allestirà la casa come uno stadio. In coda i bambini: Etel Dray Pozzoli, 10 anni, ha riesumato una coppa e si è dipinta sulla maglietta la scritta «Allez les bleus – Coupe du monde!» mentre Mia, 5 anni, asilo alla Barona, continua a ripetere che quando è venuto il Rijeka a sfidare il Milan in coppa Uefa, lei era a San Siro «in prima fila». Il leit motiv di Lea Pavlakovic è la leggenda dello stemma croato: «Si racconta che un nostro re sfidò a scacchi un doge veneziano per riprendere la sovranità su alcune isole… ebbene, a sorpresa vinse!». E tira l’acqua al suo mulino: «Siamo un popolo con spirito di squadra, pratico e resiliente. Un po’ come i milanesi, vero?».