I furti in casa sono un affare di famiglia
In manette la suocera della «ladra griffata» che aveva derubato anche il sindaco Sala
L’ hanno trovata nascosta nel covo di Baranzate dove le «colleghe», già finite in manette, avevano nascosto borse griffate e refurtiva. Saveta Djordevic, 70 anni, è così stata arrestata dagli agenti. Djordevic, un conto in sospeso con la giustizia, è la suocera di una delle tre ladre rom che a giugno sono finite nei guai per furti nelle case del centro, inclusa quella del sindaco di Milano Beppe Sala.
I motivi della visita erano solo burocratici. La restituzione di qualche oggetto sequestrato in precedenza, la notifica di alcuni atti amministrativi. Ma è facile, quando si entra nel covo di Baranzate occupato dalle ladre degli appartamenti chic di Brera e del centro (quelle che non hanno risparmiato nemmeno la casa del sindaco), imbattersi in personaggi con vecchi conti giudiziari da saldare. Così è stato per Saveta Djordevic, 70 anni, suocera di una delle donne già arrestate per il furto a casa di Beppe Sala. Gli agenti di polizia l’hanno arrestata venerdì, dopo averla scoperta all’interno della base dalla quale le delinquenti partivano per le loro razzie, e dove era stata trovata una quantità impressionante di merce rubata.
A carico della donna, dopo gli accertamenti, è risultato un ordine di carcerazione pendente, per una pena a cinque anni e sette mesi ancora da scontare per vecchie condanne accumulate in una lunga carriera criminale. La settantenne è la madre del compagno di Gina Beltrame, 19 anni, nata in Germania, incinta di otto mesi: una delle tre malviventi già raggiunte da decreto di fermo per il furto di un Rolex d’epoca,sottratto alla fine di maggio a casa Sala, al termine delle indagini condotte dall’Ufficio prevenzione generale, diretto da Maria Josè Falcicchia. La banda, della quale facevano parte anche altre due donne di etnia rom (Claudia Ristevski, senza fissa dimora, e una minorenne nata in Francia), era solita aggirarsi a piedi per le strade più eleganti della città. Vestite in modo sobrio, ma con abiti e accessori firmati, le ladre riuscivano a passare inosservate. In realtà, dentro alle loro borsette Gucci e Chanel non portavano trucchi e portafogli, ma chiavi inglesi e altri arnesi da scasso, che sapevano usare con una certa perizia.
Secondo quanto ricostruito all’epoca dagli investigatori, le tre sceglievano i loro obiettivi a caso. Magari riuscivano ad approfittare del portone aperto di uno dei palazzi borghesi che prendevano di mira. Se, alla porta, non trovavano sistemi di allarme troppo sofisticati (lo stesso sindaco aveva ammesso di essersi dimenticato di averlo attivato), avevano vita facile nel forzare la serratura ed entrare. Scoperte anche grazie alle immagini delle tante telecamere installate in centro, i poliziotti sono poi riusciti a risalire al covo di Baranzate dove le ladre tornavano e da dove partivano per le loro razzie. Una vera base delle nomadi del furto (durante l’irruzione la polizia ne aveva scoperte altre due) e deposito di refurtiva al femminile: un centinaio tra borse e accessori da donna di pregio (Louis Vuitton, Gucci, Hermes, Chanel, Prada, Bulgari e numerose altre griffe d’alta moda), una quarantina di cinture, documenti, cosmetici, scarpe, pellicce, collane di perla e soldi falsi per 3.500 euro.