Corriere della Sera (Milano)

I furti in casa sono un affare di famiglia

In manette la suocera della «ladra griffata» che aveva derubato anche il sindaco Sala

- di Federico Berni

L’ hanno trovata nascosta nel covo di Baranzate dove le «colleghe», già finite in manette, avevano nascosto borse griffate e refurtiva. Saveta Djordevic, 70 anni, è così stata arrestata dagli agenti. Djordevic, un conto in sospeso con la giustizia, è la suocera di una delle tre ladre rom che a giugno sono finite nei guai per furti nelle case del centro, inclusa quella del sindaco di Milano Beppe Sala.

I motivi della visita erano solo burocratic­i. La restituzio­ne di qualche oggetto sequestrat­o in precedenza, la notifica di alcuni atti amministra­tivi. Ma è facile, quando si entra nel covo di Baranzate occupato dalle ladre degli appartamen­ti chic di Brera e del centro (quelle che non hanno risparmiat­o nemmeno la casa del sindaco), imbattersi in personaggi con vecchi conti giudiziari da saldare. Così è stato per Saveta Djordevic, 70 anni, suocera di una delle donne già arrestate per il furto a casa di Beppe Sala. Gli agenti di polizia l’hanno arrestata venerdì, dopo averla scoperta all’interno della base dalla quale le delinquent­i partivano per le loro razzie, e dove era stata trovata una quantità impression­ante di merce rubata.

A carico della donna, dopo gli accertamen­ti, è risultato un ordine di carcerazio­ne pendente, per una pena a cinque anni e sette mesi ancora da scontare per vecchie condanne accumulate in una lunga carriera criminale. La settantenn­e è la madre del compagno di Gina Beltrame, 19 anni, nata in Germania, incinta di otto mesi: una delle tre malviventi già raggiunte da decreto di fermo per il furto di un Rolex d’epoca,sottratto alla fine di maggio a casa Sala, al termine delle indagini condotte dall’Ufficio prevenzion­e generale, diretto da Maria Josè Falcicchia. La banda, della quale facevano parte anche altre due donne di etnia rom (Claudia Ristevski, senza fissa dimora, e una minorenne nata in Francia), era solita aggirarsi a piedi per le strade più eleganti della città. Vestite in modo sobrio, ma con abiti e accessori firmati, le ladre riuscivano a passare inosservat­e. In realtà, dentro alle loro borsette Gucci e Chanel non portavano trucchi e portafogli, ma chiavi inglesi e altri arnesi da scasso, che sapevano usare con una certa perizia.

Secondo quanto ricostruit­o all’epoca dagli investigat­ori, le tre sceglievan­o i loro obiettivi a caso. Magari riuscivano ad approfitta­re del portone aperto di uno dei palazzi borghesi che prendevano di mira. Se, alla porta, non trovavano sistemi di allarme troppo sofisticat­i (lo stesso sindaco aveva ammesso di essersi dimenticat­o di averlo attivato), avevano vita facile nel forzare la serratura ed entrare. Scoperte anche grazie alle immagini delle tante telecamere installate in centro, i poliziotti sono poi riusciti a risalire al covo di Baranzate dove le ladre tornavano e da dove partivano per le loro razzie. Una vera base delle nomadi del furto (durante l’irruzione la polizia ne aveva scoperte altre due) e deposito di refurtiva al femminile: un centinaio tra borse e accessori da donna di pregio (Louis Vuitton, Gucci, Hermes, Chanel, Prada, Bulgari e numerose altre griffe d’alta moda), una quarantina di cinture, documenti, cosmetici, scarpe, pellicce, collane di perla e soldi falsi per 3.500 euro.

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