Corriere della Sera (Milano)

Le mille vite del siriano Abdul

I segreti del gangster siriano ricercato dai pm milanesi e ucciso in una faida nel 1986 I legami con i servizi deviati

- di Guido Olimpio

C’ è un mondo criminale con ramificazi­oni anche a Milano dietro l’omicidio di Abdul Razzak Barnieh, gangster nato in Siria e trovato cadavere ad Avignone, nel Nord della Francia.

Un cadavere vicino all’uscita di Montelimar Sud, sull’autostrada francese A7, a Nord di Avignone. Lo hanno ucciso con quattro proiettili alla testa, esplosi da una pistola Python 357. Nelle tasche un pacchetto di sigarette spagnole, 500 franchi, un’agendina elettronic­a protetta da un codice. Zero documenti. Ci vorrà un po’, ma alla fine la Gendarmeri­a scoprirà l’identità della vittima, trovata il 4 dicembre del 1986. E si aprirà un mondo nero. Il morto è Abdul Razzak Barnieh, alias Merzoug, nato ad Aleppo, Siria, nel 1950. Ai più non dice nulla mentre per le polizie di mezza Europa è un pezzo grosso di un network coinvolto in auto rubate, armi e lavori sporchi per servizi segreti. Una rete con radici anche a Milano: infatti un magistrato della Procura lombarda ha un ricco fascicolo sul suo conto e due mandati di cattura. Avrebbe voluto interrogar­lo per scoprire altri dettagli su un’organizzaz­ione vicina a un alto esponente siriano riparato nel Vecchio Continente, un esilio dopo una faida per il potere.

Un investigat­ore dell’epoca ricorda come la banda fosse abile, pronta a tutto, capace di rubare vetture di gran lusso — quasi sempre Mercedes — poi spedite verso il Medio Oriente. Kuwait, Libano, Siria e anche Nord Africa sono gli approdi finali del giro che vanta rapporti — di convenienz­a — nelle intelligen­ce arabe. I suoi uomini sono disposti a eseguire missioni di qualsiasi tipo.

Lo snodo è la capitale francese Parigi, dove vive con tutti gli onori il referente della gang. Da qui si dipana una ragnatela vastissima, con fili a Marsiglia, Barcellona, Rotterdam, gli scali dalle quali transitano le macchine trafugate, spesso dotate di documenti taroccati dai complici. In quegli anni abbiamo conosciuto uno degli autisti, un italiano che guidava a volte una fuoriserie fino al confine siriano. Poi — diceva — ci pensavano alcuni «amici», funzionari di qualche apparato.

Le principali città europee, invece, sono le riserve di caccia dei banditi, punti dove reperire la «merce»: Milano, Bruxelles e qualsiasi altra località dove gli «esplorator­i» possano trovare i veicoli più pregiati, poi rivenduti a un prezzo dieci volte superiore. Insieme con il «settore auto», il gruppo agisce nella realtà sommersa dei Mukhabarat, le polizie segrete mediorient­ali, prestandos­i a manovre e colpi di mano, dal trasporto di esplosivi agli attentati.

Sono spesso azioni pensate per coprire le spalle ai veri responsabi­li, con tradimenti e soffiate, tra oppositori, imbroglion­i, infiltrati. Guadagnano tanto, pagano anche tanto.

Barnieh non è l’unico a perdere la pelle. Nel settembre dell’85, in un parcheggio di Mentone, fanno fuori l’italiano Giuseppe O.. Un anno dopo i killer eliminano un altro connaziona­le, Leonardo P., a Barcellona. Persone punite per aver sgarrato, magari perché hanno cercato di arrotondar­e o perché troppo loquaci. Difficile comprender­e se esistano collegamen­ti stretti tra gli agguati, ma certo è che il gruppo deve proteggers­i, dai rivali e dalla magistratu­ra che, nel gennaio 1986, lancerà una grande retata internazio­nale, dal Belgio alla Francia.

L’inchiesta sul delitto Barnieh ha una svolta — solo apparente — quando le autorità siriane indicano come possibile killer Ziad A. Non è una sorpresa o, forse, sì. L’uomo è noto in Italia come Antonio M., alias Habib Kabbani, figura ambigua: per i tedeschi è uno 007 siriano coinvolto in aggression­i contro gli esuli, per i nostri inquirenti è vicino al Fatah di Yasser Arafat, è stato fermato in Italia nell’82 ed espulso l’anno seguente. Come mai Damasco lo «vende»?

Indiscrezi­oni sostengono che si tratta di una mossa per mettere nei guai gli esuli ostili al presidente siriano Hafez Assad ospitati a Parigi. Lo scenario è quello di un regolament­o di conti tra gangster che bazzicano anche nella nostra città diventata un buon rifugio, un passaggio verso Atene, da qui nelle terre orientali. Appartamen­ti sicuri e hotel offrono un riparo, i night club sono luoghi svago dopo le scorrerie.

L’affare Barnieh procede, la Scientific­a francese decripta la sua agendina elettronic­a, i numeri portano ad avversari del regime, uomini e donne che risiedono in Europa, identità «pesanti», con conti miliardari, palazzi, ville, limousine. Paravento dietro il quale nascono e muoiono trame, si sviluppano traffici. Il pragmatism­o dei governi occidental­i lascia fare, certi canali servono a prevenire stragi, a risolvere situazioni complicate. Non solo. Certi dossier possono diventare strumenti di pressione nei confronti degli ospiti: «Sappiamo quello che state facendo, se volete continuare collaborat­e». Regole non scritte in un’arena dove vale tutto, compresa l’eliminazio­ne fisica di un problema.

È quanto accaduto con Abdul Razzak Barnieh.

Era diventato ingombrant­e, hanno deciso di fermarlo prima che potesse parlare. Il viaggio dell’uomo dalle mille vite è finito all’uscita di Montelimar Sud.

Hotel e night club

La metropoli usata come snodo logistico, nascondigl­io e luogo di svago dai criminali

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