Gli archi da Oscar dei Micrologus
L’ensemble domani con le Cantigas per Maria
Debuttarono 34 anni fa con lo spirito ribelle di un gruppo rock e arrivano domani a Milano Arte Musica suonando e cantando lo spirito antico di mondo che non c’è più. È lo strano ma tutt’altro che casuale destino dell’ensemble Micrologus (ensemble formatosi in Umbria nel 1984) che antologizza alcune delle oltre quattrocento Cantigas de Santa Maria: volute da Alfonso X di Castiglia e raccolte in un prezioso codice di fine ‘200, sono tra le più preziose raccolte di poesie religiose in musica dell’intero Medioevo arrivate fino a noi. «Ci raccontano non solo della devozione per la Vergine Maria, ma di come la gente otto secoli fa non limitava la religione a una dimensione intima», dice la cantante e arpista Patrizia Bovi, «ma la viveva come un fattore che determinava la vita quotidiana e la coscienza di quegli uomini». «Alterneremo Cantigas che inneggiano alla Vergine e le rivolgono premaggiorenni ghiere ad altre che raccontano miracoli, che chiedono aiuto non solo per difendersi dai nemici ma magari anche semplicemente per ritrovare un sacco di grano smarrito o dei soldi rubati. Meditazioni e cronache raccontate in una lingua oggi estinta, il galiziano-portoghese». Musicalmente le Cantigas sono lo specchio della corte di Alfonso X e della Spagna: c’è la tradizione spagnola, ma dai Pirenei giungono le ventate dei trovatori: la poesia d’amore francese si traduce in un modo particolarmente concreto di descrivere la bellezza di Maria. «E non poteva mancare l’elemento arabo, con ritmi e melodie che anche l’ascoltatore di oggi digiuno di studi medievali riconosce immediatamente come orientaleggianti» aggiunge la cantante e arpista. Chi digiuno non è di tale cultura sono Bovi e i suoi compagni d’avventura con cui ha creato l’ensemble Micrologus: «Eravamo i tipici neo- che amavano trovarsi, suonare insieme fino a notte fonda, discutere, sognare. Volevamo suonare per essere liberi, per dire qualcosa di nuovo, per trovare un nostro spazio nel mondo musicale; e il medioevo ci apriva praterie da scoprire e colonizzare». C’è anche un motivo forse più patriottico che filologico: «Trent’anni fa praticavano questo repertorio solo i complessi del Nord, ma non sopportavamo di ascoltare l’italiano del 2/300 storpiato dalle inflessioni inglesi o tedesche e così abbiamo iniziato a studiare quel mondo e cercare di ricostruirlo». Anche nei concerti: «Proporre un’ora e mezza di canzoni di un unico autore risulterebbe insopportabile, invece tracciamo percorsi, illustriamo situazioni, ad esempio una festa di corte o un capitolo di storia, inserendo le musiche nel contesto e facendone capire la funzione che aveva». E così il pubblico si è allargato: «Prima erano solo gli addetti ai lavori, ora curiosi o chi magari vi si è imbattuto cercando formazioni o notizie sulla scena contemporanea che rilegge la musica antica. Quando abbiamo accompagnato la danza di Cherkaoui i nostri dischi sono andati a ruba, così come quando abbiamo firmato la colonna sonora di Mediterraneo di Salvatores».