La donna del racket, liberate le case
Giovanna Pesco fu condannata, rioccupò e fu allontanata a più riprese. Ieri l’intervento delle forze dell’ordine Blitz a Niguarda negli alloggi controllati da «Lady Gabetti». Recuperati 150 box, due abitati
Giovanna Pesco, 55 anni, origini palermitane, era chiamata «Lady Gabetti» perché tutti sapevano bisognava rivolgersi alla sua famiglia per avere un alloggio popolare a Niguarda. Venne condannata ma poi rioccupò e fu sgomberata a più riprese dalle Case rosse dell’Aler in via Cherasco. È di ieri il nuovo sgombero degli agenti di polizia con un blitz degli uomini del commissariato Greco-Turro.
La storia di «Lady Gabetti» dieci anni fa fece il giro d’Italia. Perché mai prima d’allora era accaduto che venisse documentata e filmata la compravendita di una casa popolare occupata. Lei. al secolo Giovanna Pesco, 55 anni, origini palermitane, era chiamata così perché tutti nel quartiere sapevano che era alla sua famiglia che bisognava rivolgersi per avere un alloggio popolare a Niguarda. In particolare in via Padre Luigi Monti.
Il merito di quella inchiesta — che poi si trasformò in una indagine giudiziaria culminata con la condanna della Pesco a 3 anni, più 2 di sorveglianza speciale — era stato di Frediano Manzi e della sua associazione «Sos racket e usura». Manzi qualche anno dopo venne travolto da altre vicende e da un tentativo di suicidio. La Pesco, e la figlia Anna Cardinale, 38 anni, invece non lasciarono mai del tutto il quartiere e un anno fa avevano occupato un appartamento Aler in via Cherasco dal quale erano state poi sgomberate a fine agosto. A settembre erano tornate al civico 2 della stessa via e avevano rioccupato al terzo piano.
Ieri il nuovo sgombero con un blitz degli agenti del commissariato Greco-Turro guidati dal vice questore Angelo De Simone, e della polizia locale. Nella casa vivevano anche la figlia di «Lady Gabetti» (ovviamente la società immobiliare Gabetti nulla c’entra con questa vicenda) e i due figli di 31 e 17 anni. Il Comune ha offerto una soluzione abitativa di emergenza in una comunità, come previsto dalle norme, in attesa che i Servizi sociali trovino una collocazione alla famiglia. La prima proposta, quella di un posto letto nel centro di emergenza abitativa di via Sacile, vicino al campo rom di via Bonfadini, era stata rifiutata dalle due donne.
L’appartamento (tre locali) è stato poi chiuso e messo a disposizione dell’Aler nella speranza che i te m pi p er uOna nuova, e regolare, assegnazione non siano quelli che da anni contraddistinguono il patrimonio abitativo pubblico milanese. Uno dei problemi principali delle case popolari resta, infatti, proprio quello dell’assegnazione degli alloggi vuoti o sgomberati che spesso finiscono per diventare di nuovo facile preda degli abusivi.
Durante il blitz, i poliziotti — insieme al commissariato
anche equipaggi del Reparto prevenzione crimine, dell’Upg e del Reparto mobile — hanno anche liberato 150 box nel cortile tra via Cherasco e via Val Maira, nelle cosiddette «Case rosse» di Niguarda.
I box erano da tempo sfuggiti a qualsiasi controllo da parte dell’Aler. Basti pensare che due garage erano stati arredati con cucina e bagno. Una sistemazione di fortuna, ma utilizzata anche di recente, fotografia della disperazione sociale che accompagna la storia di questi caseggiati.
Nei box sono stati controllati 36 veicoli: 21 erano rubati. Nel dettaglio 5 auto e 5 moto sono state sequestrate mentre altre sono state portate in deposito o restituite ai proprietari. Gli agenti hanno controllato 43 persone (5 stranieri e 16 con precedenti penali) e scoperto anche i residui di un «giro di spaccio»: sequestrata una pressa per cocaina e moltissime bustine usate per confezionare le dosi.
Trovate anche 22 bici che si sospetta siano state rubate e che ora finiranno sul sito del Comune nella speranza di rintracciare i proprietari. L’operazione di ieri rientra nel «progetto Penelope» per la sicurezza dei quartieri popolari ed era stata predisposta nei giorni scorsi dal questore Marcello Cardona e dal prefetto Luciana Lamorgese. A marzo era già toccato alle «case» di viale Sarca.