Concerto Bacharach agli Arcimboldi Una leggenda del pop
In scena all’Ippodromo la band di Anderson con mezzo secolo di hit indimenticabili
Si scrive Jethro Tull, si legge Ian Anderson. Perché se c’è una band che si è sempre identificata nel nome del leader, è proprio quella formata nel 1967 dal flautista scozzese. Folletto folk, pifferaio magico in un’era di sperimentazioni sonore e stilistiche, giullare senza età, antico e futurista allo stesso tempo, Anderson era la forza trascinante: derivava i suoi motivi dalla musica classica e dalle ballate popolari, i suoi ritmi dalla musica afroamericana, i suoi assoli dal jazz.
Nato nel 1947 a Dunfermline, in Scozia, e trasferitosi a 12 anni con la famiglia da Edimburgo a Blackpool, il polistrumentista, cantante e autore britannico amatissimo in Italia, dove si esibisce frequentemente, ha così identificato la sua sagoma leggermente ingobbita sullo strumento con uno dei gruppi più celebri e riconoscibili dell’epoca progressive. Una rock-band, seconda soltanto ai Rolling Stones in quanto a longevità, che quest’anno festeggia il mezzo secolo di presenza sulle scene con un triplo cd dal titolo inequivocabile
Folletto folk Qui accanto Ian Anderson leader e fondatore della band britannica dei Jethro Tull (qui
sotto). Alla soglia dei 71 anni (che compirà il 10 agosto prossimo), il polistrumentista scozzese riproporrà stasera i maggiori successi del gruppo progressive «50 for 50», che raccoglie appunto cinquanta successi estratti dai 21 album di studio pubblicati dalla band in mezzo secolo, e con il «50th Anniversary Tour», live-show che fa tappa stasera all’Ippodromo per il «Milano Summer Festival».
Durante questi cinquant’anni, molti membri della band hanno abbandonato e altri sono subentrati. Sul palco, al fianco di Anderson non ci sono però dei perfetti sconosciuti, ma musicisti che lo accompagnano da diverso tempo nei suoi concerti: John O’Hara alle tastiere, David Goodier al basso, Florian Opahle alla chitarra elettrica, Scott Hammond alla batteria e Ryan O’Donnell, a cui spetta l’arduo compito di supportarlo nella parte vocale e nell’interpretazione dei brani. E poi ci sono gli ospiti virtuali, musicisti legati alla storia dei Jethro Tull, che appaiono sul maxischermo. «Nei nostri concerti», ha spiegato Anderson, che da anni alterna la sua attività da rockstar con quella di allevatore di salmoni, «raccontiamo sempre una storia, che non è solo musicale, ma anche visuale, e questi personaggi che appaiono sullo schermo fanno parte della narrazione. Sono uno strumento evocativo per intrattenere, ma anche per far capire meglio il senso dello show agli spettatori».
I segni del tempo sono visibili sul frontman che non ha più la folta capigliatura di una volta, ma il modo di suonare resta quello di sempre: come un trampoliere in piedi su una gamba sola e l’altra a oscillare e battere il tempo sul ginocchio. Tra i brani proposti in questo tour ci sono tutti i cavalli di battaglia, come «Song for Jeffrey», «Dharma for one», «A New day yesterday», passando per la sua sempreverde rilettura progressive della Bourée di Bach, fino a «Thick as a brick». Nel finale esplodono «Aqualung» e l’aggressiva «Locomotive Breath».
Il leader
«Nei nostri concerti raccontiamo sempre una storia che è sia musicale che visuale»
I video
«I personaggi sullo schermo fanno capire meglio agli spettatori il senso dello show»