Corriere della Sera (Milano)

«La borsa di soldi rubata ai narcos» Deiana ammazzato per una vendetta

Il cadavere cementato a Cinisello. La pista del regolament­o di conti e i trafficant­i

- Cesare Giuzzi

Una vendetta. Un delitto studiato e covato per mesi. Un piano omicida perfeziona­to nei dettagli. Un caso di «lupara bianca» messo in atto da personaggi vicini alla ‘ndrangheta. Trafficant­i di cocaina che con Salvatore e Antonio Deiana avevano condiviso più di un affare. Fino a quel punto di rottura e alla «accusa» che sei anni fa è costata la vita al più piccolo dei due fratelli. Ucciso a coltellate e sepolto sotto al pavimento, per rendere più difficile il lavoro delle forze dell’ordine. Perché senza un cadavere è più complicato imbastire un’indagine per omicidio. E senza un cadavere non esiste omicidio, almeno a livello mediatico.

Proprio in linea con quella teoria dell’inabissame­nto dei clan in Lombardia: sparare poco e quando proprio è necessario uccidere farlo in modo chirurgico. Senza rumore, senza destare allarmi. Come successo per il fratello Salvatore e per l’amico Ernesto Albanese, ma anche come capitato a Rocco Stagno e Antonio Tedesco, l’americano, freddati e sepolti dai padrini della ‘ndrangheta a ridosso del blitz «Infinito» del 2010.

Nel mondo della malavita si uccide principalm­ente per un motivo. Anzi, sempre per lo stesso: i soldi. Che poi siano sotto forma di contanti, di cocaina della presenza dei contanti, era Antonio Deiana. Così da subito i sospetti della banda si sono concentrat­i sul 36enne. Nel mondo della malavita non ci sono processi, né esiste il diritto alla difesa. Così, rispettand­o il detto «bacia le mani a chi le merita tagliate», la banda avrebbe continuato a tenere buoni rapporti di facciata con Deiana, pianifican­do però in silenzio la trappola di Cinisello. «Antonio doveva incontrare dei calabresi per 4 chili di cocaina — aveva raccontato la sorella agli inquirenti —. Ma non era tranquillo, come se stavolta avesse paura di qualcosa...».

Il condiziona­le è d’obbligo perché si tratta ancora di una pista investigat­iva, ma gli inquirenti avrebbero in mano un quadro piuttosto chiaro. Irrobustit­o anche dalle precedenti indagini della squadra Mobile e della procura di Como. Ora del filone principale si occupa Monza (competente su Cinisello), ma di fatto l’inchiesta è un tutt’uno con quella della procura lariana, anche grazie alla collaboraz­ione tra le Mobili di Como e Milano e il commissari­ato di Greco-Turro che aveva raccolto la «soffiata» sul delitto.

Quel che appare ormai certo è che il racconto del killer reo confesso, Luca Sanfilippo («Abbiamo litigato per futili motivi e l’ho ucciso»), 47 anni e precedenti per droga, appare meno solido e sempre più fumoso. Almeno sul movente. Come se Sanfilippo voglia coprire altri scenari e complici. Nella sua confession­e ha detto di aver distrutto i 4 chili di coca (150 mila euro di valore) che la vittima aveva con sé. Perché? «Non sapevo cosa farne». Davvero inverosimi­le.

I ladri

Uno dei malviventi ha trovato l’auto scassinata e pensato a soffiate della vittima

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