Faida per la centrale del narcotraffico «Mi sono ripreso quello che è mio»
Assalto a Novate, nove arresti. Gli inquirenti: omertà assoluta, aiuto solo da un cinese
Rocky Ambrosino è stato preso di notte in una stanza dell’hotel «Boutique» di via Mac Mahon insieme a un guardaspalle. Cambiava albergo quasi ogni sera, vivendo come un latitante nella speranza che le acque si calmassero. Ma non perché temesse le manette, anzi. La preoccupazione, semmai, era quella di restare vivo. Perché chi scatena una faida sa che c’è un prezzo da pagare. E il conto prima o poi arriva.
Rocco Ambrosino, 45 anni, non temeva la vendetta di Massimiliano Toscano, l’ex socio che lui e il suo commando di uomini incappucciati hanno pestato a sangue, tentato di rapire e al quale hanno cercato di tagliare una mano durante l’assalto alla carrozzeria «New car» di Novate dello scorso 12 marzo. Piuttosto il timore era legato a un altro gruppo di trafficanti di droga ai quali Ambrosino doveva dei soldi e che, in quel modo, aveva provato a recuperare dall’ex socio. Dopo quell’assalto — ieri 9 persone sono state arrestate dai carabinieri —, infatti, al padre di Ambrosino era stata bruciata una Dacia Steepway, recapitata a casa una serie «imprecisata» di proiettili, era stata bruciata l’auto di uno degli affiliati (Kristian De Palma, arrestato dopo aver tentato di investire due carabinieri) e uno dei componenti del commando (Michelangelo Lo Bue) era stato «gambizzato» nei box di via Carbonia, a Quarto Oggiaro, da misteriosi sicari. Ma per gli inquirenti non si era trattato di una reazione di Toscano, quanto di una serie di avvertimenti per costringere Ambrosino ad onorare il debito con i narcos.
Sono molte le storie che si intrecciano tra le pieghe dell’inchiesta «Sangue blu» (dal nome della chat creata dal commando con la fotografia di un personaggio della serie Gomorra) condotta dai carabinieri del Nucleo investigativo e coordinata dall’aggiunto Laura Pedio e dal pm Francesca Crupi. Perché sullo sfondo dell’assalto all’ex carrozzeria «Ambrocar» di via Boito (dove Toscano e Ambrosino erano soci) c’è il controllo della più importante «centrale milanese del narcotraffico».
L’attività della carrozzeria, secondo gli investigatori guidati dal tenente colonnello Michele Miulli, altro non sarebbe che una copertura per una rete di narcos che vede coinvolti nomi storici dei quartieri di Bruzzano, della Comasina e di Quarto Oggiaro. Un luogo dove dal 2013 ad oggi sono passati i rappresentanti delle famiglie Flachi (espressione del clan De Stefano della ‘ndrangheta), Pompeo, Tallarico, ma anche quelli dei Fidanzati legati a Cosa Nostra. Una «miniera d’oro» (e di potere) così importante da valere una faida: «Mi sono ripreso quello che è mio», racconta Ambrosino intercettato dai carabinieri due settimane dopo l’assalto.
Il solo a collaborare davvero alle indagini sull’agguato — compiuto con pistole e fucili a pompa — è stato il titolare di una ditta cinese dove la vittima si era rifugiata. Ha raccontato di aver riconosciuto Ambrosino alla guida del commando composto anche da ex dipendenti della «Ambrocar». Gli stessi che i carabinieri hanno fotografato nei giorni scorsi dentro al nuovo capannone di Novate dove Rocky stava allestendo una nuova carrozzeria. (c. giu.)