Benvenuti a Villa Borsani La casa dell’architetto brianzolo apre eccezionalmente al pubblico
La splendida villa di famiglia progettata dall’architetto negli anni ‘40 a Varedo apre le porte al pubblico
Chi era Osvaldo Borsani? Un grande architetto, designer e imprenditore, brianzolo di Varedo, 1911-1985: un pioniere del buon rapporto tra progetto e industria, nel momento storico in cui coincisero boom economico, progresso tecnologico e fioritura artistica. Il suo nome è meno conosciuto rispetto ai progettisti lombardi coevi, forse a causa della proverbiale riservatezza, forse per l’impegno costante sul lavoro: aveva ereditato la ditta di famiglia, l’Atelier ABV (Arredi Borsani Varedo), e con il fratello gemello Fulgenzio aveva fondato nel 1953 la Tecno, a tutt’oggi marchio d’eccellenza nel settore mobili da ufficio. A colmare la lacuna è in allestimento fino al 16 settembre in Triennale la prima retrospettiva sul suo lavoro: in mostra 300 pezzi tra arredi, suppellettili, foto, schizzi e progetti, a cura di Norman Foster e Tommaso Fantoni, nipote dell’artista: «Ricordo il nonno che disegnava sempre, sapeva tracciare le prospettive al contrario per i clienti seduti davanti a lui. Aveva una mano straordinaria».
L’Archivio Storico Osvaldo Borsani, da cui provengono i materiali esposti, si trova a Varedo presso l’omonima villa privata di famiglia, progettata da Borsani tra 1943 e ’45 e normalmente chiusa al pubblico: in occasione della mostra ha aperto le porte in via eccezionale per una serie di visite culturali con i volontari del Fai di Monza (vedi note a fianco). Un edificio che è un piccolo gioiello, paragonato alla casa museo Necchi Campiglio. «Una dimora borghese intatta in ogni sua parte, con una dimensione e un’organizzazione familiari — prosegue Fantoni — dove al razionalismo della struttura architettonica dell’esterno corrisponde un grande ric- chezza degli ambienti interni, colmi di dettagli preziosi». Dunque una casa pratica, fatta per vivere, ma bellissima: nulla è affidato al caso, tutto sembra spontaneamente e perfettamente al proprio posto. In questo senso l’abitazione è una chiave per capire il metodo Borsani, valido in una scala che va dal grande al piccolo: massima funzionalità, attenzione alla qualità e ai materiali, impegno estetico, minuziosa cura del particolare nell’insieme.
In giardino le forme esterne si stagliano rigorose ed essenziali in un incontro di li- nee rette, ma varcata la soglia la severità si scioglie, ci si perde in un’atmosfera d’altri tempi sofisticata ed elegante. La scala è in marmo rosa di Candoglia, lo stesso del nostro Duomo, i pavimenti ancora in marmo con disegno a onde, oppure in parquet con griglia a losanghe. Al mobilio, spesso su disegno dello stesso Borsani, si accompagnano opere d’arte, sculture, dipinti: l’architetto amava infatti collaborare con giovani artisti dell’epoca a cui chiedeva di realizzare fregi o decori integrati agli ambienti. Non a caso qui il camino si riveste con un lavoro in ceramica di Lucio Fontana, mentre il mosaico del bagno ha un disegno a fiori appositamente creato da Adriano Spilimbergo. Un complesso unico, tra gusto moderno e tracce Déco, innovativa produzione in serie e sapienza della tradizione artigiana.
Il nipote
«Il nonno disegnava sempre. Anche al contrario per i clienti seduti davanti a lui»