Gherardo Colombo «Ai giardini di Porta Venezia ho scoperto la mia oasi»
L’appuntamento con Gherardo Colombo è al ruscelletto dei giardini di Porta Venezia. Colombo ha usato proprio la parola ruscelletto, poi, intuendo lo smarrimento, è corso in aiuto con delle indicazioni, «è facile, guardando la fontana, sulla destra». Eccolo il torrente urbano, alimentato da un tubo fra le rocce invece che da una sorgente, ma con l’acqua cristallina e l’andamento vivace. Luce, il giovane golden dell’ex magistrato di Mani Pulite — lo riconoscono ancora in molti, lui contraccambia paziente i saluti —, osserva l’acqua indecisa, sembra quasi annusarla. «È solo paura», chiarisce lui, «e pensare che dovrebbe essere una nuotatrice perfetta, ha le zampe palmate!». I giardini sono la palestra di allenamento del giudice. Non meno di tre chilometri ogni mattina. «Luce mi ha riportato in un luogo della memoria, dell’infanzia», racconta. «Qui venivo accompagnato da mia madre a giocare, a salutare le foche e l’elefante dello zoo, quando sei piccolo vedere da vicino quegli animali è una festa, solo più tardi capisci che chiuderli in piccole gabbie è una tortura». Rivela che a quei tempi il parco era curatissimo, «c’era più manutenzione, in estate bagnavano di continuo per evitare che si alzasse la polvere, l’erba era perfetta, non smangiucchiata dal passaggio delle biciclette!».
I ricordi si spingono ancora più indietro, al primo dopoguerra. «Ero molto piccolo, ma l’immagine delle macerie è nitidissima». Accarezzando il cane, che ha definitivamente abbandonato l’idea di un tuffo, riflette ad alta voce. «La città ha vissuto vicende alterne, anche contraddittorie, il terrorismo e la Milano da bere, poi Tangentopoli e le inchieste giudiziarie». Si torna ai tempi odierni. Ammette subito: «È diventata bella, è in un periodo d’oro, piena di turisti, vivacissima a livello culturale, e simbolo di integrazione». È conscio di addentrarsi in un terreno minato, ma non arretra, anzi dichiara convinto: «Milano ha da sempre una visione cosmopolita, non si è mai preoccupata delle diverse presenze, della molteplicità di culture, le differenze sono sempre state la sua ricchezza». La stoccata arriva sulle periferie, «ancora tanto lavoro da fare, bisogna vederle come opportunità», e sugli scali ferroviari, «mi auguro che il recupero sia affrontato con mano delicata, che garantisca equilibrio fra verde e nuova urbanizzazione». E sulla riapertura dei Navigli? «Lì non ho ricordi, non sono abbastanza vecchio», ironizza, «però mio padre, che era del ’16, mi ha raccontato qualcosa, aveva profonda nostalgia della città d’acqua. Certo, pensando ad Amsterdam, piange il cuore...».
Luce è irrequieta, è ora di alzarsi. Un nuovo giro di parco per l’ex magistrato, da poco eletto presidente di Ue.Coop, Unione europea delle cooperative, Premio Cultura Pace 2008 per il suo impegno nell’educazione alla legalità. Al momento dei saluti, confessa: «Ho vissuto vent’anni con la scorta, ho ripreso a vivere quando mi sono trovato di nuovo libero, nel 2001: una felicità indescrivibile!».
I Giardini Montanelli sono la mia palestra: tre chilometri al giorno con Luce. Ci venivo anche da piccolo con mia madre a giocare e a salutare le foche e l’elefante dello zoo
Milano ha vissuto vicende alterne, anche contraddittorie. Oggi è diventata bella, vivacissima a livello culturale, piena di turisti e simbolo di integrazione riuscita