Liutaio riapre la bottega fondata dai suoi avi in via Larga nel 1750
Primo atelier in via Larga nel 1750, poi lo stop. La svolta di Nicola
Nicola Monzino appartiene a una dinastia di liutai con la prima bottega aperta nel Settecento in contrada Dogana e fine dell’attività dagli anni Settanta del ‘900. Riaprirà il laboratorio del nonno. A 47 anni ha preso un anno sabbatico e ha imparato a costruire violini.
Nel 1750 il Teatro alla Scala ancora non esisteva. Ma d’estate, sulla spianata del Castello Sforzesco, Giovanni Battista Sammartini dirigeva tre volte a settimana grandi concerti sinfonici.
Fu in quegli anni, in cui il Ducato di Milano ancora apparteneva all’Impero di Maria Teresa d’Austria, che Antonio Monzino I, «fabbricatore di istrumenti e corde armoniche» aprì la sua prima bottega da liutaio, in Contrada Dogana (oggi la zona di via Larga) a due passi dal Duomo. Fu l’inizio di una dinastia che portò avanti l’antica arte della costruzione degli strumenti ad arco e a pizzico — da violini e contrabbassi a chitarre e mandolini — fino agli anni Settanta del Novecento, formando i migliori liutai italiani. Oggi quella fabbrica esiste ancora. Si chiama «Mogar Music», si è trasferita a Lainate e impiega circa trenta dipendenti nel commercio all’ingrosso di strumenti musicali. L’antica arte della costruzione dei violini, nella famiglia Monzino, sembrava essere tramontata. E invece, a sorpresa, un nuovo liutaio è spuntato in seno all’ottava generazione. È Nicola, 47 anni, nipote di Antonio Monzino IV, l’ultimo costruttore di violini e chitarre a lavorare nella bottega di via Rastrelli e nel negozio in via Larga, fino alla loro chiusura. Oggi Nicola costruisce i suoi violini nell’atelier allestito nella sua casa, a due passi da piazza Piemonte. Ma ha un obiettivo. «Riaprire il laboratorio di mio nonno e dare lavoro a giovani liutai. E aggiungere anche altre attività, come il noleggio degli strumenti, aree espositive per la collezione di famiglia e fare iniziative culturali», racconta.
Seguire le orme del nonno non era nei suoi programmi. Fino a cinque anni fa, Nicola lavorava nell’impresa di famiglia. «È stata la crisi a farmi trovare la mia strada — spiega —. In quel periodo il mercato era stagnante e ho ripensato alla proposta che il nonno mi aveva fatto quando avevo 16 anni. Io ero l’unico dei nipoti che amava lavorare con le mani e lui mi suggerì di andare a lavorare per Luca Sbernini, che oggi è uno dei migliori liutai in Italia. Io naturalmente rifiutai. Cinque anni fa, invece, ci ho ripensato, ho preso un anno sabbatico e mi sono iscritto alla Civica Scuola di Liuteria di Milano. In famiglia ormai non c’era più nessuno che potesse insegnarmi il mestiere».
Dopo quattro anni in classe da mattina a sera, a studiare, fra l’altro, disegno tecnico, acustica degli strumenti, le caratteristiche di legno e vernici, e dopo sei mesi di lavoro in atelier, Nicola costruisce il suo primo violino e lo dona a sua moglie, Adriana.
«La parte più difficile della costruzione è il taglio della chiocciola (la parte finale del manico), lì si diventa un po’ scultori, si lavora sui decimi di millimetro. E che emozione quando si sente la prima nota, il “la”: la prima volta mi sono commosso». Quel violino oggi è affidato a un musicista. «Perché uno strumento non deve restare in una cassaforte: di questo ne sono fermamente convinto». Ed è la stessa filosofia della Fondazione Monzino, che con il progetto «Adotta uno strumento» presta i suoi «tesori» a giovani musicisti.
Un violino Testore del 1759 è in uso a una violinista, mentre un violoncello Farina E. del 1910 è affidato a un musicista della Scala. «Nella cassa armonica degli strumenti Monzino c’è l’etichetta con la firma di mio nonno e il nome del liutaio che l’aveva costruito: lui desiderava che i nomi dei suoi artigiani non andassero persi».
Parte della collezione Monzino — settantacinque pezzi su 150 — è ammirabile oggi al Museo degli Strumenti Musicali del Castello, a cui è stata donata. In più di due secoli di attività, la casa produsse anche strumenti di sua invenzione, come la chitarra da viaggio e speciali mandolini. E, nella collezione, spiccano anche una lettera di Giuseppe Verdi e una di Niccolò Paganini, che lodava le corde del «Mi cantino» (le più sottili del violino) prodotte dai Monzino e che acquistava a fasci di trenta per volta. Una delle chicche, oggi custodita al Museo della Scala, è poi la lira costruita per la rappresentazione dell’opera Nerone di Arrigo Boito nel 1924. «Ne fecero due esemplari: una per l’attore in scena e una realmente funzionante».
In attesa che la bottega di Nicola apra — «sto cercando una sede adatta» — a partire da settembre, al Centro culturale Rosetum di via Pisanello la Fondazione proporrà corsi di liuteria per adulti e bambini.