Corriere della Sera (Milano)

Viale Jenner, la faida degli imam

Continue risse per stabilire la leadership nel luogo di culto. La protesta dei residenti esasperati: ora intervenit­e Pestaggi e il mistero dei soldi spariti. La guida spirituale «licenziata»: resto, qui il capo sono io

- di Andrea Galli alle pagine 2 e 3

Pestaggi tracimati in strada, due fazioni contrappos­te, l’ex imam cacciato ma ugualmente al suo posto («Il capo sono io»). E alla base della violenta faida nella moschea di viale Jenner, potrebbero esserci i soldi. Molti soldi. Soldi spariti. Per mano della stessa precedente guida spirituale, sollevata dall’incarico il 31 luglio, che avrebbe «distratto»i i fondi modificand­o i destinatar­i all’estero. Domenica ancora due risse. I residenti: adesso basta, siamo esausti.

Gli abitanti della zona: ora si intervenga

Un primo scontro alle 16. Un secondo alle 21.50. Sempre nello stesso giorno, domenica, e senza feriti gravi. La faida della moschea di viale Jenner si alimenta di risse con pestaggi, che tracimano in strada, tra le due opposte fazioni, per le proteste dei residenti da anni abbandonat­i al loro destino. Gli schieramen­ti nemici sono impegnati nella lotta di potere all’interno dello storico istituto islamico e sono collegati il primo all’imam appena cacciato e l’altro al suo sostituto. La tensione, culminata nei due episodi dell’altroieri, ha come «facciata» le dinamiche di allontanam­ento dell’imam Elna0di Abdelghani Im Elbeltagi, convinto di aver subìto un torto. In realtà, come risulta a fonti investigat­ive di Questura e Comando provincial­e dei carabinier­i sentite dal Corriere, dietro l’«espulsione» potrebbero esserci i soldi. Soldi «spariti». La moschea muove moltissimo denaro che, raccolto, percorre canali legali e parallelam­ente, è sospetto degli inquirenti, canali illegali. L’ex imam avrebbe «distratto» questi fondi, forse non tanto intascando­li quanto modificand­o il punto di approdo finale, ovvero il destinatar­io e la destinazio­ne. Per la rabbia di chi gestisce il centro: figure esterne alla stessa moschea, a Milano e all’Italia.

Una «giusta causa»

La lettera spedita in data 31 luglio a Elnadi Abdelghani Im Elbeltagi nella sua abitazione di via Conte Verde, non lontano dalla moschea, è composta di dieci righe di testo. Tanto quanto è bastato ai vertici dell’istituto di comunicare il «licenziame­nto per giusta causa». La decisione è stata adottata per le seguenti ragioni: «Lei ha continuame­nte messo in cattiva luce il presidente dell’istituto e ha cercato di diventare il capo della Moschea aizzando i fedeli contro il direttivo». Motivo per il quale «si è interrotto il rapporto fiduciario in essere, in maniera tale da non consentire la prosecuzio­ne del rapporto, neanche in termini provvisori». Il licenziame­nto «ha effetto immediato» e quindi «la invitiamo a ritirare i suoi effetti personali nel luogo di lavoro». Elnadi Abdelghani Im Elbeltagi ha preso atto ma fatto di testa sua. Del resto non ha intenzione di abbandonar­e il posto: «Il capo sono io».

Le (deboli) promesse Domenica sera l’ex imam s’è presentato in moschea e ha tenuto il sermone del fine settimana. Tra i fedeli c’erano musulmani che hanno protestato chiedendog­li di andarsene; sono stati zittiti dalla truppa di Elnadi Abdelghani Im Elbeltagi. Discussion­i, insulti; dei fedeli, due più agitati degli altri hanno deciso di risolverla con le mani. Erano le 21.50. Si sono dati appuntamen­to in strada: duello, calci e pugni prima dell’arrivo delle forze dell’ordine. In preceno denza, alle 16, il copione era stato identico. In quell’occasione, il presidente dell’istituto, Abdel Hamid Youssef Ibrahim Farag, aveva tranquilli­zzato gli investigat­ori promettend­o, parole sue, di trovare a breve una soluzione e confermand­o che, al netto degli evidenti problemi, comunque la struttura rimarrà regolarmen­te aperta tutto il gior- e non soltanto per le cinque preghiere.

Indagini difficili

Ora, non è forse il caso di ricordare ogni volta il passato della moschea, che è stata anche una palestra di mujaheddin ma che resta, soprattutt­o, un luogo di preghiera peraltro ricavato in una struttura anacronist­ica, piccola, soffocante, offensiva; eppure, tra chi indaga — intendendo quelli al fronte, sull’asfalto, che si sporcano le mani — c’è quasi l’impression­e che, alla fin fine, ai propri vertici e ancor più su ai vertici della politica, viale Jenner interessi esclusivam­ente in chiave di ordine pubblico. Il luogo e i suoi frequentat­ori non debbono turbare la regolare quotidiani­tà di Milano e non debbono dare la «possibilit­à» agli abitanti di attaccare il Comune. Di nuovo chi indaga si domanda se la moschea non sia divenuta un pericoloso buco nero dove all’impermeabi­lità della comunità musulmana, o quantomeno all’accertata sua fatica alla collaboraz­ione, si sia sommato un enorme ritardo nel lavoro di approvvigi­onamento delle informazio­ni, per scoprire ad esempio chi davvero comanda. S’è investito e si investe al punto giusto sull’intelligen­ce in viale Jenner? La rarità di quanto sta avvenendo — una vera faida — e le imprevedib­ili conseguenz­e consiglian­o la rapida ricerca di risposte (ed eventualme­nte contromoss­e).

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In strada Una foto scattata dieci anni fa in viale Jenner durante l’ultima preghiera del venerdì
(Tam Tam) 2008 In strada Una foto scattata dieci anni fa in viale Jenner durante l’ultima preghiera del venerdì
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L’intrigo L’ex imam di viale Jenner Abu Omar 2003 rapito da agenti Cia a Milano il 17 febbraio 2003
(Ansa) 2003 L’intrigo L’ex imam di viale Jenner Abu Omar 2003 rapito da agenti Cia a Milano il 17 febbraio 2003
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