Ricky Gianco alla Festa di Radio Onda d’Urto
Il beat. Il Clan di Celentano. Milano. E la canzone politica. Il rivoluzionario del rock’n’roll (ospite domenica) si racconta
Al via a Brescia la Festa di Radio Onda d’Urto: concerti, reading e conferenze
Èil testimone diretto di una lunga rivoluzione musicale che parte dall’America e approda in Italia alla fine degli anni 50. È stato uno degli eroi del beat, ha fondato il Clan con Celentano, ha cavalcato il successo con Bindi, Endrigo, Tenco, Gaber, Jannacci, ha scritto pietre miliari come «Pugni chiusi« e «Il vento dell’est», ha vissuto gli anni di piombo firmando brani di protesta. Chi meglio di Ricky Gianco può raccontare quegli anni ruggenti? Sarà infatti l’artista lodigiano a ricordarli con «È tutta colpa del Rock’n’Roll», lo spettacolo di scena domenica sera alla Festa di Radio Onda d’Urto.
Lei è testimone della nascita del rock’n’ roll in Italia. Cosa cambiò in quegli anni?
«È stata una vera rivoluzione, non solo musicale, ma di costume e culturale. Un fenomeno che ha emancipato le nuove generazioni. Io comprai i jeans che fino ad allora i ragazzi non potevano indossare perché rischiavano di essere cacciati da scuola. Era un’onda che non poteva più essere arginata perché in America le case discografiche capirono che il nuovo mercato era quello dei giovani».
La data ufficiale di questa rivoluzione in Italia è il 18 maggio 1957, con il festival rock al Palaghiaccio di via Piranesi…
«Sì, c’erano i Rock Boys con Jannacci, Gaber, Tenco, Celentano, Tony Renis,Tony Dallara. Io non c’ero ancora, perché avevo solo 14 anni e a quell’età non potevi uscire la sera. Iniziai ad aver successo con il Cantagiro, dopo aver il Clan con Celentano. Ricordo ancora quando vinsi con “Stai lontana da me” e fui costretto a subire un interrogatorio da Teddy Reno, Luciano Taioli e Claudio Villa che mi accusarono di favoritismi, perché allora cantavano solo gli interpreti e non gli autori». A Milano che aria tirava? «Il mondo musicale ruotava intorno alla Galleria del Corso, dove c’erano le case discografiche e nella “swinging Brera”. Il locale più frequentato era il Santa Tecla. Io vivevo in zona Solari, dove ho conosciuto i Dik Dik, con cui ci si trovava al bar California per sognare l’America».
Lei si presenta sul palco con Gianfranco Manfredi, con cui ha dato voce alla canzone militante…
«Alla fine degli anni 60 avevo quasi smesso di scrivere e stavo per cambiare mestiere. Capì che era in atto un’altra rivoluzione, dopo quella del befondato at. Così ebbi l’idea di fondare la Intingo e l’anno dopo, con Nanni Ricordi, “L’ultima spiaggia”, per cui incisero Jannacci, Claudio Lolli e, appunto, Gianfranco Manfredi, che diede voce allo spirito dell’epoca con canzoni-manifesto come “Zombie di tutto il mondo unitevi” o “Dagli Appennini alle bande”». -
Lei ha conosciuto i Beatles. È vero che poteva esserci lei al posto di Peppino di Capri ad aprire il loro concerto al Vigorelli?
«Brian Epstein mi presentò a John Lennon e a Paul McCartney che mi invitarono a un loro spettacolo all’Astoria Theatre di Londra. C’erano ragazze che urlavano, lanciavano reggiseni, svenivano. Piansi anch’io dall’emozione. La tensione era alta e pensai che non fosse il caso di aprire un loro concerto in Italia. Diciamo che ho fatto una cavolata a non accettare. Ma non è stata l’unica della mia vita».