Corriere della Sera (Milano)

Un ragazzino di nome Basquiat il documentar­io «Boom for real» al Mexico e al Palestrina

In anteprima domani a Milano il documentar­io sull’artista adolescent­e Una figura magnetica e sfuggente nella New York di fine anni Settanta

- di Alberto Pezzotta

Nella sua autobiogra­fia «Il buio e la luce», il regista William Friedkin racconta che mentre stava girando a New York «Cruising», un fan gli mandò una busta piena di suoi disegni. Diede loro un’occhiata e poi li cestinò. Pochi anni dopo si morse le mani. Il fan si chiamava JeanMichel Basquiat. Morì di overdose a ventotto anni, nel 1988, sette anni dopo avere venduto il suo primo quadro per 500 dollari. Oggi le sue opere hanno raggiunto da Christie’s quotazioni di 57 milioni di dollari.

Ma chi era Basquiat? Su di lui sono stato girati tanti film, ma «Boom For Real. L’adolescenz­a di Jean-Michel Basquiat» di Sara Driver lo racconta in modo diverso. Si concentra sugli anni della formazione e si ferma quando il giovane artista di Brooklyn comincia a essere notato da critici e galleristi, che lo paragonano a Jackson Pollock e Willem De Kooning. E mostra che, per capire Basquiat, occorre innanzitut­to conoscere il mondo in cui è cresciuto. La New York di fine anni Settanta è una delle metropoli più pericolose del mondo, con ampie zone di Manhattan fatiscenti, spacci di droga a cielo aperto e un tasso di omicidi da paura. Ma è anche un calderone creativo, dove per la prima volta si incrociano musicisti afroameric­ani e bianchi: da una parte pionieri dell’hip hop e del rap, da Afrika Bambaataa a Fab Five Freddy; dall’altra i Talking Heads e i Television. Anche il mondo dell’arte subisce una scossa: mentre i padri della pop art espongono nella galleria di Leo Castelli, che assomiglia a una banca, per le strade nasce il movimento dei graffitist­i, da Keith Haring a Kenny Sharf, che a lungo vengono considerat­i dei vandali. In questo contesto Basquiat, un giovane afroameric­ano di Brooklyn, decide di fare l’artista e, alla ricerca di visibilità, inizia a occupare gli spazi pubblici con poesie enigmatich­e, inventando­si l’alter ego di SAMO. Pochi sanno chi sia davvero SAMO, ma i suoi slogan diventano parte del paesaggio urbano: una strategia che anticipa quella di artisti odierni come Banksy. Ma la parola non basta al giovane Jean-Michel. Presto passa al collage, alla musica e infine alla pittura vera propria. Il suo nume ispiratore è Andy Warhol. Anche se in quel periodo la sua stella si è un po’ appannata, Andy rimane un mito e un modello per i giovani, soprattutt­o per la sua capacità di muoversi in media differenti e per la capacità di trasformar­e in arte tutto ciò che tocca. Quando Warhol compra una cartolina di Jean-Michel, questi è al settimo cielo: per un giovane nero sembra — ed è — il biglietto da visita per entrare in un mondo finora aperto solo ai bianchi. Sara Driver, compagna di Jim Jarmusch, conosce molto bene quella New York, che sembra lontana anni luce dall’epoca del web; e la racconta con pragmatism­o e senza cedimenti nostalgici. Anche se Basquiat, che con la sua energia magnetica compare in tante riprese d’epoca dall’immagine sgranata, rimane in fondo un mistero. Forse è meglio così.

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 ??  ?? Sulle orme di Warhol Jean-Michel Basquiat per le strade di New York e sotto un’immagine dal film. L’artista morì per overdose a 28 anni nel 1988
Sulle orme di Warhol Jean-Michel Basquiat per le strade di New York e sotto un’immagine dal film. L’artista morì per overdose a 28 anni nel 1988
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