Moschea, nuova rissa Tre fedeli in ospedale
La faida tra imam non si ferma
Il «pretesto», soltanto l’ultimo in ordine di tempo, è stato la raccolta di firme per sfiduciare l’attuale dirigenza della moschea di viale Jenner, la stessa che il 31 luglio ha licenziato l’imam Einadi Abdelghani Im Elbetagi. Durante questa raccolta di firme, a causa di una persona che riprendeva col cellulare i promotori dell’iniziativa, è scoppiata una violentissima lite tra le fazioni avverse. Alla fine, tre persone sono state accompagnate in ospedale per contusioni multiple e trauma cranico. L’escalation di violenza, per la faida legata agli imam, ormai non conosce tregua.
Ci sono le risse «pubbliche», avvenute in strada, impossibili da nascondere almeno agli occhi dei residenti i quali però, essendo fra i più pazienti di tutta Milano, vengono puntualmente abbandonati, di giunta in giunta, al loro destino. Poi ci sono le risse «private», che la comunità musulmana cerca in tutti i modi di occultare, e che diventano note soltanto lentamente, a distanza. Parliamo della moschea di viale Jenner e della faida scoppiata dopo la cacciata dell’imam Einadi Abdelghani Im Elbetagi, che nonostante la lettera di licenziamento datata 31 luglio scorso, non ha intenzione di andarsene. Proprio a causa della lotta di potere tra la fazione fedele all’ex guida spirituale e quella avversaria, esultante per la sua espulsione, è scoppiato l’ennesimo pestaggio nell’istituto islamico. Stavolta, tre i contendenti tutti quanti finiti in ospedale dopo lunghi minuti di calci e pugni.
Il giorno era il 5 agosto, l’orario le 21. Nella moschea, un gruppo di nordafricani aveva avviato una raccolta di firme per sfiduciare l’attuale dirigenza dell’istituto, quella che ha ordinato a Einadi Abdelghani Im Elbetagi, testualmente, di «ritirare immediatamente gli effetti personali nel luogo di lavoro». A un certo punto, uno dei presenti ha voluto filmare col cellulare la raccolta firme, forse con l’obiettivo di «registrare» i volti degli organizzatori. Quell’azione col telefonino ha innescato la reazione di quelli ripresi. Le botte hanno subito sostituito le lamentele e gli insulti, e alla fine, all’ospedale Fatebenefratelli, sono stati accompagnati un 18enne egiziano, il padre 58enne e un connazionale di 28 anni.
I primi due hanno rimediato una prognosi di cinque giorni per contusioni multiple; peggio è andata all’ultimo, giudicato guaribile in due settimane avendo avuto un trauma cranico e la distorsione rachide cervicale. Su questa aggressione procede la polizia. Numerosi presenti erano scappati; altri, ascoltati, hanno finto di non aver visto né sentito. Sia la Questura, sia il Comando provinciale dei carabinieri sono alle prese, fin dalle originarie liti di fine luglio, con la difficile mappatura del violento dinamismo della moschea. La faida non ha soltanto una ragione nella «partita» tra l’ex imam (uno che ripete «Il capo sono io, qui comando io») e il sostituto, poiché sembra che Einadi Abdelghani Im Elbetagi abbia fatto sparire dei soldi. Nell’istituto gira parecchio denaro, che nessuno mai riesce lontanamente a quantificare. Sono somme che dopo la raccolta prendono due direzioni parallele, i canali legali e quelli illegali in Italia e fuori dall’Italia, dove vivono i reali padroni della moschea, le persone che decidono le guide, gli «indirizzi» e ovviamente le destinazioni del denaro. Probabile che Einadi Abdelghani Im Elbetagi non abbia distratto fondi per un interesse personale quanto per soddisfare una causa, ma agendo contrariamente alle «direttive». Motivo per cui i vertici dell’istituto, che sono dei meri esecutori, hanno adottato il provvedimento del licenziamento.
Sono tutti elementi che come dice un esperto delle forze dell’ordine, tolti i residenti, in generale ai milanesi fregano meno di zero, perché quel che «conta» è il mantenimento dell’ordine pubblico, senza che le tensioni esondino. Il problema è che stanno esondando, e pure tanto.
La cacciata
Il 31 luglio i vertici dell’istituto hanno licenziato l’imam Einadi Abdelghani Im Elbetagi